Maria Rosaria Mauro
Professoressa di diritto internazionale
Università degli Studi del Molise (Italia)
mauro@unimol.it 0000-0002-7171-7864
e-Revista Internacional de la Protección Social ▶ 2021
Vol. VI ▶ Nº 2 ▶ pp. 372 - 401
ISSN 2445-3269 ▶ https://dx.doi.org/10.12795/e-RIPS.2021.i02.17
Recibido: 25.10.2021. Aceptado: 22.11.2021
RIASSUNTO |
PAROLE CHIAVE |
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La liberalizzazione del commercio internazionale può promuovere la crescita economica e le opportunità di lavoro sia nei Paesi in via di viluppo sia nelle economie industrializzate. Peraltro, non tutti gli Stati hanno beneficiato in uguale misura di tale liberalizzazione e, in generale, della globalizzazione delle relazioni economiche internazionali. Di conseguenza, questi fenomeni e gli accordi commerciali di stampo liberista che li hanno favoriti continuano a essere oggetto di un acceso dibattito. In tale contesto, uno degli aspetti più controversi è la mancanza di una protezione adeguata dei diritti dei lavoratori nell’ambito dei suddetti accordi. Partendo dall’attuale mancanza di regole specifiche nel quadro giuridico multilaterale degli scambi, l’autore analizza le cosiddette “clausole sociali” contenute negli accordi di libero scambio bilaterali e regionali di nuova generazione, con particolare riferimento ai trattati conclusi dall’Unione europea (UE). Dall’analisi emerge che tali clausole non garantiscono ancora una sufficiente protezione ai lavoratori e che, pertanto, esse andrebbero modificate. |
Clausole sociali Commercio internazionale OMC OIL Accordi di libero scambio di nuova generazione |
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ABSTRACT |
KEYWORDS |
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The liberalization of international trade can foster economic growth and employment opportunities both in developing countries and in advanced economies. However, States have not all benefited equally from trade liberalization and, in general, from international economic relations globalization. As a consequence, these phenomena and the liberalist trade agreements that have favoured them continue to be highly disputed. In this context, one of the most debated aspects is the lack of an adequate protection of workers’ rights under these agreements. Departing from the current lack of specific rules in the multilateral trade legal framework, the author analyzes the so-called “social clauses” included in the new generation bilateral and regional free trade agreements (FTAs), with a special focus on the European Union (EU) FTAs. From this analysis emerges that these clauses do not still guarantee a sufficient protection to workers and therefore they should be modified. |
Social clauses International trade WTO ILO FTAs |
IV. Segue. LA TUTELA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI NEGLI ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO CONCLUSI DALL’UE
V. L’ACCORDO GLOBALE SUGLI INVESTIMENTI TRA L’UE E LA CINA
Numerosi studi hanno dimostrato che la liberalizzazione del commercio internazionale può favorire la crescita economica e le opportunità di impiego sia nei Paesi in via di sviluppo sia nelle economie avanzate[1]. Tuttavia, è evidente che gli Stati della comunità internazionale non hanno beneficiato tutti in egual misura della liberalizzazione degli scambi commerciali e, in generale, della globalizzazione delle relazioni economiche internazionali, perciò, tali fenomeni e gli accordi commerciali di impostazione liberista che li hanno favoriti continuano a essere oggetto di una forte contestazione[2]. In tale contesto, uno degli aspetti maggiormente dibattuti è la mancanza di una tutela adeguata dei diritti dei lavoratori nell’ambito di tali accordi come anche nei trattati sugli investimenti[3].
La questione della protezione dei diritti dei lavoratori nel commercio internazionale si è posta, in realtà, molto tempo prima dell’affermarsi del regime internazionale multilaterale degli scambi. Infatti, già a partire dalla fine dell’800, gli Stati hanno iniziato a includere, sia nelle legislazioni nazionali sia negli accordi internazionali, clausole volte a vietare l’importazione di schiavi e di merci prodotte grazie al lavoro dei detenuti[4].
Nel Patto della Società delle Nazioni del 1919, poi, gli Stati membri si impegnavano “to secure and maintain fair and humane conditions of labour for men, women, and children, both in their own countries and in all countries to which their commercial and industrial relations extend”, affermando che “for that purpose will establish and maintain the necessary international organisations”[5] .
Successivamente, nella Carta de L’Avana del 1948, che avrebbe dovuto istituire l’ International Trade Organization (ITO)[6], gli Stati riconoscevano che, in materia di lavoro, occorreva tenere conto dei diritti già sanciti in dichiarazioni e accordi internazionali; ribadivano l’interesse comune ad adottare norme adeguate relative alle condizioni di lavoro e alla retribuzione; e, soprattutto, dichiaravano espressamente che l’esistenza di condizioni inique, specie nei settori di produzione destinati all’esportazione, creava difficoltà agli scambi internazionali e, pertanto, si impegnavano ad adottare misure per eliminare tali condizioni nel proprio territorio[7]. Inoltre, già nella Carta veniva riconosciuto il ruolo fondamentale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in tale campo[8]. Peraltro, la Carta non entrò mai in vigore, non essendo stato raggiunto il numero di ratifiche necessarie a tal fine.
Invece, proprio nel trattato commerciale multilaterale che, di fatto, sostituì la Carta de L’Avana, l’Accordo generale sulle tariffe e il commercio ( General Agreement on Trade and Tariffs - GATT) del 1947[9], venne inserito un importante riferimento al tema del lavoro. Infatti, l’art. XX, lett. e), GATT includeva, tra le “eccezioni generali” al regime di liberalizzazione previsto dall’Accordo, il diritto delle parti contraenti di adottare o applicare misure relative ai prodotti fabbricati nelle prigioni. Una disposizione identica è prevista, attualmente, anche dall’analogo articolo contenuto nel c.d. “GATT 1994”[10].
Inoltre, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, Stati Uniti e Paesi europei hanno promosso con vigore l’introduzione della c.d. “clausola sociale”[11], prima nel GATT e poi nel sistema dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Grazie a tale clausola, tutti i Membri avrebbero dovuto adottare e rispettare standard minimi di tutela dei lavoratori e, allo stesso tempo, avrebbero potuto decidere ritorsioni commerciali –nella forma di restrizioni quantitative all’importazione o di revoca di vantaggi commerciali precedentemente accordati– nei confronti dello Stato che avesse violato un tale obbligo. Peraltro, tale proposta incontrò da subito l’opposizione dei Paesi in via di sviluppo, secondo i quali l’imposizione di obblighi di questo tipo avrebbe avuto un’incidenza negativa sulla loro competitività nei mercati internazionali. Tali Stati, infatti, hanno tradizionalmente considerato la clausola sociale come una misura protezionistica volta a ostacolare le loro esportazioni, costituite essenzialmente da beni labour intensive prodotti a basso costo. Pertanto, l’Accordo istituivo dell’OMC del 1994 si limita ad affermare che “ relations in the field of trade and economic endeavour should be conducted with a view to raising standards of living (and) ensuring full employment …”[12].
I tentativi di inserire tutele specifiche per i lavoratori nel quadro giuridico multilaterale dell’OMC non hanno, finora, avuto successo. L’impossibilità di trovare un accordo tra i diversi Membri su tale delicata questione è apparsa evidente già in occasione della Conferenza ministeriale dell’OMC di Singapore, che ha avuto luogo nel 1996[13]. In quell’occasione, infatti, i Paesi in via di sviluppo si sono espressamente opposti all’inclusione di norme relative alle questioni legate al lavoro nel diritto OMC, riconoscendo come unica organizzazione internazionale competente in materia l’OIL. Nella Dichiarazione adottata al termine della Conferenza ministeriale, si ribadiva l’impegno all’osservanza dei core labour standards internazionalmente riconosciuti e si confermava il ruolo dell’OIL in tale ambito; si affermava, inoltre, che la crescita economica e lo sviluppo favoriti dalla liberalizzazione del commercio internazionale avrebbero contribuito alla promozione di tali standard; si respingeva, infine, l’utilizzo dei labour standards per ragioni protezionistiche, affermando che non doveva in alcun modo essere messo in discussione il vantaggio comparato dei Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo in cui i salari risultavano essere bassi[14]. Certamente, l’orientamento dei Paesi in via di sviluppo è stato favorito anche dal loro timore di essere chiamati a rispondere, nell’ambito del sistema di soluzione delle controversie OMC, del mancato rispetto di eventuali clausole in materia dei diritti dei lavoratori contenute negli accordi commerciali multilaterali. Tale sistema, infatti, si è dimostrato particolarmente efficace al fine di garantire la corretta applicazione degli Accordi OMC. Al summit di Singapore, inoltre, l’Unione europea (UE) ha proposto l’istituzione di un gruppo di lavoro OMC sul tema commercio-lavoro e successivamente, durante le Conferenze Seattle del 1999[15] e di Doha del 2001[16], tale Organizzazione ha richiesto anche la creazione di un foro permanente OMC-OIL.
Peraltro, proprio il tema della necessaria tutela dei diritti dei lavoratori nel contesto delle relazioni commerciali internazionali è stato uno dei fattori del fallimento della Conferenza ministeriale dell’OMC di Seattle. In quella circostanza, l’allora Presidente statunitense Bill Clinton ha dichiarato che il gruppo di lavoro proposto, istituito per esaminare le questioni del rapporto tra commercio e lavoro, avrebbe dovuto definire una serie di core labour standards da incorporare in tutti gli Accordi OMC. Ciò, però, ha incontrato nuovamente l’opposizione decisa dei Paesi in via di sviluppo[17].
Successivamente, in occasione della Conferenza ministeriale dell’OMC di Doha, i Membri dell’Organizzazione hanno riaffermato ancora e in modo definitivo che la competenza a trattare gli aspetti sociali e individuare standard in materia di lavoro spettava unicamente all’OIL[18]. Dopo tale Conferenza non vi sono stati più tentativi significativi volti a promuovere l’inserimento di norme in materia di lavoro negli accordi commerciali multilaterali e tale tema è stato definitivamente messo da parte all’interno dell’OMC.
Dall’inizio degli anni 2000, quindi, è divenuto evidente che l’incorporazione delle tematiche collegate ai diritti dei lavoratori nel sistema multilaterale degli scambi non aveva alcuna possibilità di successo; si è andata affermando l’idea, inoltre, che l’OIL è l’unica organizzazione internazionale competente ad affrontare la questione della dimensione sociale della globalizzazione, essendo altresì la maggior parte degli Stati membri dell’OMC anche parte contraente delle Convenzioni OIL.
A livello multilaterale, pertanto, la questione della tutela dei diritti dei lavoratori nell’ambito del commercio internazionale è, attualmente, rimessa principalmente all’OIL.
Tale Organizzazione, in accordo con il mandato previsto nella Dichiarazione di Filadelfia del 1944, è responsabile per la revisione delle politiche e delle misure economiche e finanziarie nazionali e internazionali alla luce dell’obiettivo fondamentale della giustizia sociale[19]. L’OIL ha confermato il proprio ruolo, riguardo alla questione della relazione tra commercio internazionale e tutela dei diritti dei lavoratori, nella Dichiarazione sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta del 2008[20], dove si afferma anche che, su richiesta, l’Organizzazione può fornire assistenza ai Membri che desiderano promuovere gli obiettivi strategici dell’occupazione, della protezione sociale, del dialogo sociale e dei diritti nel lavoro in maniera congiunta tramite accordi bilaterali e multilaterali, nei limiti della compatibilità di tali accordi con gli obblighi dell’OIL[21]. In tale Dichiarazione inoltre, analogamente a quanto già affermato dieci anni prima nella Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro[22], gli Stati membri ribadiscono il loro impegno a promuovere standard internazionali in materia di lavoro nel contesto del commercio internazionale, sostenendo che tali standard non dovrebbero essere utilizzati per scopi commerciali protezionistici e che la violazione di principi e diritti fondamentali nel lavoro non può essere invocata o utilizzata come un vantaggio comparato legittimo[23]. Tali concetti sono stati riaffermati nelle risoluzioni e conclusioni del Comitato sul lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento mondiali, adottate alla 105° sessione della Conferenza internazionale del lavoro nel 2016, in cui si raccomanda ai governi di “ consider to include fundamental principles and rights at work in trade agreements, taking into account that the violation of fundamental principles and rights at work cannot be invoked or otherwise used as a legitimate comparative advantage and that labour standards should not be used for protectionist trade purposes”[24].
L’OIL sta, infine, promuovendo il concetto di “lavoro dignitoso” in riferimento al commercio e agli investimenti internazionali come parte dell’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile[25], contribuendo alla progettazione e all’attuazione delle disposizioni in materia di lavoro contenute negli accordi commerciali internazionali, nonché alla conoscenza del possibile impatto di tali clausole.
L’attività dell’OIL si inserisce in un contesto ampio di iniziative internazionali destinate a chiarire la relazione tra il commercio e le strategie volte a promuovere il lavoro dignitoso. Tra queste iniziative vi è, ad esempio, il Programma di lavoro Maafikiano di Nairobi, che è stato adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ( United Nations Conference on Trade and Development - UNCTAD) nella sua 14° sessione, nel 2016. In tale documento si afferma che il commercio è un mezzo per sostenere gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile e che “ regional integration can be an important catalyst to reduce trade barriers, implement policy reforms, decrease trade costs, and increase developing country participation in regional and global value chains … These agreements [bilateral and regional trade agreements] should be consistent with, and should contribute toward a stronger multilateral trading system”[26].
Il fallimento delle iniziative volte alla tutela dei diritti dei lavoratori in ambito GATT e poi OMC ha determinato il ricorso da parte degli Stati a strumenti alternativi per salvaguardare tali diritti nel quadro delle relazioni economico-commerciali internazionali. Infatti, gli Stati hanno iniziato a promuovere la protezione dei diritti dei lavoratori attraverso la conclusione di trattati commerciali bilaterali e regionali con specifiche clausole in materia e/o mediante l’istituzione di sistemi unilaterali di preferenze commerciali generalizzate.
In assenza di clausole apposite negli accordi commerciali multilaterali, gli Stati hanno optato, sempre più spesso, per l’inclusione di norme relative ai diritti dei lavoratori nell’ambito di trattati commerciali e di investimento bilaterali e regionali. Si tratta, in genere, dei cosiddetti accordi di libero scambio ( Free Trade Agreements - FTAs) di nuova generazione, trattati che disciplinano, in primo luogo, gli aspetti legati al commercio internazionale, alla cui liberalizzazione sono finalizzati, ma che contemporaneamente regolano altre materie di carattere economico, come gli investimenti, i servizi, la proprietà intellettuale, gli standard tecnici, la concorrenza, nonché temi di natura non economica, quali i diritti umani e l’ambiente.
L’esigenza di prevedere disposizioni vincolanti in materia di lavoro nell’ambito di un accordo commerciale di natura regionale si è posta, per la prima volta, all’epoca della negoziazione dell’Accordo di libero scambio nordamericano ( North American Free Trade Agreement - NAFTA) tra Canada, Messico e Stati Uniti[27]. Originariamente, il testo del NAFTA non includeva norme in materia di lavoro. Ciò suscitò non poche preoccupazioni, infatti, sebbene vi fosse un consenso ampio nei tre Stati contraenti nei confronti dell’Accordo, vi era anche il timore diffuso, negli Stati Uniti e in Canada, che il nuovo regime di liberalizzazione degli scambi potesse comportare una perdita di posti di lavoro nelle industrie esposte alla concorrenza commerciale. Inoltre, si temeva che il NAFTA potesse innescare una corsa al ribasso per quanto riguardava le legislazioni in materia di lavoro. Pertanto, l’allora Presidente statunitense Clinton promosse la negoziazione di un side agreement dedicato, appunto, alla materia del lavoro[28]: l’Accordo nordamericano di cooperazione sul lavoro ( North American Agreement on Labor Cooperation - NAALC)[29]. Il NAALC riconosceva il diritto di ogni parte di stabilire i propri labour standards, pur chiedendo ai tre Stati contraenti di assicurare elevati standard in materia e di applicare le proprie leggi sul lavoro[30]. Tale Accordo non conteneva, quindi, regole in materia sociale comuni alle Parti contraenti, limitandosi a prevedere il principio del “rafforzamento della legislazione nazionale” nel settore. Peraltro, pur senza essere stabiliti standard comuni per le leggi nazionali, in un allegato al Trattato venivano indicati 11 “principi guida” sui diritti dei lavoratori che le Parti si impegnavano a promuovere compatibilmente alle rispettive leggi nazionali[31]. Per assicurare il rispetto dell’Accordo erano previste forme di consultazione, comitati di esperti indipendenti e la possibilità per ogni Stato di ricorrere a un’apposita procedura per denunciare le violazioni del Trattato da parte degli altri contraenti[32]. Nonostante abbia rappresentato un tentativo importante di conciliare la tutela dei diritti dei lavoratori con le esigenze di liberalizzazione del commercio internazionale, in realtà, il NAALC si basava, principalmente, su impegni di natura non vincolante e meccanismi di cooperazione e dialogo, presentando il limite di non prevedere standard internazionali in materia di tutela dei lavoratori, forse anche in quanto concluso principalmente per tutelare le esportazioni statunitensi e canadesi da un’eventuale riduzione del costo della manodopera in Messico, piuttosto che per assicurare una protezione effettiva ai lavoratori nei tre Paesi contraenti. Peraltro, il NAALC ha rappresentato un passaggio fondamentale nella governance globale, dal momento che il rispetto degli obblighi in materia di lavoro ha, da allora, cessato di essere rimesso in via esclusiva ai governi nazionali.
Va aggiunto che, da quel momento in poi, si è sviluppata una preoccupazione crescente da parte dei Paesi in via di sviluppo nei confronti delle clausole sociali inserite negli accordi commerciali, a causa dei possibili effetti negativi delle suddette clausole sulla loro partecipazione al commercio internazionale. Ciò nonostante, dalla conclusione del NAALC, il numero degli accordi commerciali (bilaterali e regionali) con clausole sociali è aumentato enormemente[33]. Tale rete convenzionale coinvolge, ormai, Stati appartenenti a tutte le aree geografiche, con un’ampia partecipazione, in particolare, del Canada, degli Stati Uniti e dell’UE[34]. Le clausole sociali contenute in questi trattati hanno assunto via via più importanza, venendo estesa gradualmente la loro portata. Ciò vale non solo per gli accordi conclusi tra Stati industrializzati e Paesi in via di sviluppo, ma anche per i trattati commerciali tra questi ultimi e le economie in transizione o tra Paesi in via di sviluppo inter se o, finanche, tra Stati industrializzati inter se. Le disposizioni in materia di lavoro vengono definite spesso attraverso il supporto dell’OIL.
La novità principale di tali trattati rispetto al NAALC risiede nel fatto che essi non si limitano a prevedere clausole c.d. “negative”, cioè volte esclusivamente a evitare il regresso della legislazione interna, ma contengono anche obblighi positivi. In genere, infatti, le parti contraenti si impegnano pure ad adottare e mantenere un determinato livello di protezione sociale, corrispondente all’attuazione dei core labour standards[35]. Il rispetto di tale impegno è garantito da meccanismi di esecuzione appositamente previsti e dalla possibilità di ricorrere a sanzioni commerciali.
Le clausole sociali possono essere inserite in parti diverse del trattato commerciale. Gli Stati Uniti e il Canada, ad esempio, usano side agreements o capitoli appositi dedicati al lavoro. Mentre l’UE, ormai da qualche anno, include nei suoi FTAs un capo (o “capitolo”) su “Commercio e sviluppo sostenibile”, in cui sono trattate anche le questioni connesse all’ambiente. La collocazione delle norme ha una certa rilevanza, poiché può incidere sia sulla loro natura giuridica sia sulla possibilità di applicare a esse gli ordinari meccanismi di risoluzione delle controversie previsti nell’ambito dell’accordo commerciale.
Negli accordi commerciali, di solito, le parti fanno riferimento agli standard concernenti i rapporti, i termini o le condizioni di lavoro; ai meccanismi per monitorare o promuovere il rispetto degli standard di lavoro indicati; e/o a strumenti di cooperazione.
In particolare, le clausole sociali presenti negli FTAs possono contenere: disposizioni collegate a principi, standard e regole; disposizioni volte a favorire il monitoraggio e l’attuazione degli impegni assunti; disposizioni per promuovere la cooperazione tra le parti; disposizioni sui meccanismi per la soluzione delle controversie; disposizioni sulla possibilità di adottare sanzioni. Talvolta, nei trattati vi sono anche disposizioni relative ad aspetti particolari come, ad esempio, la protezione dei lavoratori migranti[36].
Per quanto riguarda le clausole contenenti gli obblighi in materia di lavoro, le parti contraenti tutelano i diritti dei lavoratori in due principali modi: impegnandosi a sostenere e ratificare i principi fondamentali dell’OIL e i relativi diritti; impegnandosi ad applicare le legislazioni nazionali di attuazione riguardanti i diritti dei lavoratori senza derogarvi[37].
Dalla fine del primo decennio degli anni 2000, è divenuta una prassi abituale per gli Stati richiamare espressamente nei loro accordi commerciali la Dichiarazione OIL del 1998 sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro[38]. In tale Dichiarazione si afferma che tutti i Membri dell’OIL hanno l’obbligo di rispettare, promuovere e realizzare in buona fede e conformemente alla Costituzione dell’OIL i principi concernenti i diritti fondamentali previsti dalle 8 “Convenzioni fondamentali” dell’Organizzazione, anche qualora non abbiano ratificato tali Convenzioni, per la loro mera appartenenza all’Organizzazione[39]. In particolare, la Dichiarazione individua quattro principi e diritti associati[40] (“principi e diritti fondamentali dell’OIL” o core labour standards) considerati fondamentali per la giustizia sociale, che sono: la libertà di associazione e il riconoscimento effettivo del diritto di contrattazione collettiva[41]; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato od obbligatorio[42]; l’abolizione effettiva del lavoro minorile[43]; e l’eliminazione della discriminazione in materia di impiego e occupazione[44].
Alcuni accordi più recenti, inoltre, prevedono la ratifica e l’attuazione di altri strumenti adottati nel contesto dell’OIL, come le “Convenzioni fondamentali” o altre Convenzioni classificate da tale Organizzazione come “aggiornate” ( up-to-date) e quadri concordati a livello internazionale quale l’Agenda per il lavoro dignitoso[45].
Sempre più frequentemente sono indicati nei trattati commerciali, oltre agli standard in materia di lavoro, meccanismi volti a favorire l’attuazione delle clausole sociali, compresi quelli relativi al coinvolgimento delle parti interessate, o di cooperazione tra le parti contraenti. Tali accordi, ad esempio, possono prevedere una serie di strumenti diversi il cui scopo è facilitare il rispetto delle clausole in materia di lavoro contenute al loro interno. In primo luogo, possono essere contemplate misure di “pre-ratifica”, nel senso che le parti convengono di apportare determinate modifiche giuridiche e/o istituzionali nel proprio ordinamento prima dell’entrata in vigore del trattato. A volte vengono stabilite, invece, misure successive alla ratifica, poiché le parti si impegnano a introdurre determinati cambiamenti a livello giuridico e/o istituzionale dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Altri strumenti, finalizzati a garantire l’attuazione degli obblighi in materia di lavoro, sono la cooperazione tecnica, l’erogazione di risorse e la formazione, ma anche il monitoraggio, diretto a verificare l’adempimento degli impegni da parte degli Stati o delle imprese.
Va osservato, altresì, che diversi Paesi hanno istituito specifici meccanismi per coinvolgere le parti sociali nell’attuazione delle disposizioni in materia di lavoro presenti negli accordi commerciali. Questi meccanismi includono, ad esempio, strutture consultive permanenti e strumenti inclusivi che coinvolgono segmenti ampi della società civile. L’esperienza pregressa dimostra che il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile è stato molto importante al fine di elaborare in modo più completo e attuare più correttamente le disposizioni in materia di lavoro contenute negli FTAs. Ad esempio, intervenendo nella fase di negoziazione, talvolta le parti interessate hanno ottenuto un maggiore impegno da parte dei governi nell’elaborazione delle norme in materia di lavoro, come dimostra l’accordo tra l’UE e la Repubblica di Corea siglato il 15 ottobre 2009[46], in cui, proprio grazie alle richieste dei sindacati e di altri gruppi della società civile è stato inserito un capo su “Commercio e sviluppo sostenibile”.
Inoltre, la presentazione di istanze pubbliche a opera delle parti interessate si è rivelata un utile mezzo per promuovere la diffusione degli standard in materia di lavoro in alcuni Paesi, come è accaduto ad esempio in America latina grazie al Dominican Republic-Central America-United States Free Trade Agreement (il c.d. “CAFTA-DR”) del 2004[47].
I trattati commerciali includono anche disposizioni volte a rafforzare la cooperazione tra le parti contraenti, che prevedono, ad esempio, seminari, fori e/o la condivisione di best practices.
Apposite clausole, infine, sono dedicate alla risoluzione delle controversie tra le parti contraenti e, talvolta, viene anche stabilita la possibilità di ricorrere a sanzioni. Peraltro, come è usuale nell’ambito della disciplina del commercio internazionale, tali trattati non prevedono, in caso di violazione delle norme relative alla tutela dei diritti dei lavoratori, che i soggetti colpiti –individui, parti sociali o anche imprese– possano fare valere direttamente i propri diritti ricorrendo contro le violazioni degli obblighi convenzionali. Infatti, sebbene gli accordi di libero scambio più recenti dedichino maggiore attenzione ai meccanismi per bilanciare l’aspetto della libertà economica e quello della tutela sociale, in relazione alle controversie in materia di lavoro le parti contraenti dell’accordo si impegnano esclusivamente ad assicurare alle persone interessate la possibilità di accedere ai tribunali locali per chiedere il rispetto dei labour standards[48].
Per quanto riguarda la soluzione delle controversie tra le parti contraenti, invece, nella maggior parte degli FTAs sono previste regole che si fondano sul dialogo e la consultazione. In genere, solo dopo che tali strumenti sono stati utilizzati, le parti possono attivare, come ultima risorsa, i meccanismi formali di soluzione delle controversie.
Mentre nella prassi dell’UE l’applicazione delle clausole sociali è rimessa, essenzialmente, alla cooperazione tra le parti e a meccanismi istituzionali State-to-State, altri trattati, soprattutto quelli conclusi dagli Stati Uniti e dal Canada, contemplano anche la possibilità di ricorrere a sanzioni. La sanzione può consistere, in primo luogo, nella sospensione dei benefici commerciali, ad esempio ponendo fine alle tariffe agevolate o interrompendo completamente gli scambi fino a quando non cessa la violazione. Inoltre, vi possono essere sanzioni pecuniarie, il cui importo è determinato dal panel istituito per risolvere la controversia tra le parti contraenti.
Un esempio recente e fondamentale di FTA di nuova generazione è rappresentato dallo USMCA del 2018. Esso include diverse novità in materia di lavoro, costituendo un possibile modello per i futuri accordi di libero scambio.
In particolare, il capitolo dedicato al lavoro dello USMCA[49] impone alle parti di adottare e mantenere i core labour standards dell’OIL all’interno delle loro legislazioni nazionali. Le parti sono tenute, altresì, ad assicurare nelle proprie legislazioni condizioni accettabili di lavoro rispetto ai salari minimi, alle ore di lavoro e alla sicurezza e alla salute sul lavoro. Sono vietate le importazioni di prodotti derivanti dal lavoro forzato. Vi sono, inoltre, impegni riguardanti la violenza contro i lavoratori, le protezioni per il lavoratore migrante e la discriminazione sul posto di lavoro. Per garantire il rispetto delle leggi sul lavoro, poi, devono essere intraprese una serie di azioni dalle Parti contraenti, che vanno dalla nomina e formazione di ispettori, al controllo del rispetto delle regole in materia di lavoro, all’attuazione di azioni riparatrici e all’applicazione di sanzioni. Era stato, altresì, predisposto un allegato apposito in virtù del quale il Messico avrebbe dovuto adottare e mantenere una serie di misure necessarie per garantire l’effettivo riconoscimento del diritto di contrattazione collettiva come pre-condizione per l’entrata in vigore dello USMCA[50].
Infine, allo scopo di rafforzare i meccanismi di attuazione delle clausole sul lavoro, è stato introdotto in tale recente Accordo un nuovo sistema di risoluzione delle controversie, denominato “ Facility-Specific Rapid Response Labour Mechanism”[51], sulla base del quale una parte dell’accordo può agire contro singole strutture (“ Covered Facility”) in alcuni settori prioritari. In tali casi, qualora vi sia il sospetto di una violazione del diritto di libera associazione e di contrattazione collettiva dei lavoratori, vi è un’indagine a opera di un panel indipendente. Viene, altresì, impedito a una parte di bloccare la formazione del panel ed è introdotta la presunzione che il mancato rispetto dei principali impegni in materia di lavoro avvenga “ in a manner affecting trade or investment”, a meno che una parte non dimostri il contrario. Tale sistema di “risposta rapida” è un meccanismo istituzionalizzato ed esecutivo, che rende lo USMCA uno degli FTAs con maggiore tutela dei diritti dei lavoratori.
Da diversi anni, l’UE si sta adoperando per una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori nel quadro delle relazioni commerciali internazionali, in particolare attraverso il suo sistema di preferenze generalizzate e mediante gli accordi di libero scambio di nuova generazione conclusi con partner appartenenti a tutte le aree del globo.
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, numerosi Stati hanno iniziato a predisporre sistemi di preferenze generalizzate in via unilaterale, sulla base dei quali vengono ridotti, o finanche annullati, i dazi doganali sulle merci provenienti da certi Paesi, al fine di rafforzare le capacità commerciali e stimolare le esportazioni di questi ultimi[52]. Le agevolazioni tariffarie concesse hanno lo scopo di promuovere la crescita dei Paesi in via di sviluppo sul piano economico, ma sempre più anche su quello sociale e ambientale. Nell’ambito di tali sistemi, infatti, spesso il rispetto o l’inosservanza dei diritti fondamentali dei lavoratori comportano, rispettivamente, la concessione di vantaggi tariffari o l’irrogazione di sanzioni commerciali. Perciò, l’applicazione del trattamento privilegiato è subordinata al rispetto, da parte dello Stato beneficiario, di importanti convenzioni internazionali in materia di diritti umani o tutela dell’ambiente. Viene applicata, in tal modo, quella che può essere definita una «condizionalità politica».
L’UE, che è stata la prima ad attuare un sistema di preferenze generalizzate[53], ha iniziato a includere in esso disposizioni in materia di lavoro a partire dalla metà degli anni ‘90 del secolo scorso, optando inizialmente per un meccanismo sanzionatorio e prevedendo poi incentivi speciali per gli Stati che aderiscono ai core labour standards dell’OIL. Nel 2005, tale sistema è stato ampliato, divenendo il c.d. “Sistema SPG+”, sulla base del quale sono concesse preferenze tariffarie aggiuntive a un numero limitato di Paesi che ratificano e attuano convenzioni in materia di sviluppo sostenibile e good governance[54]. Sulla base del sistema di preferenze generalizzate, quindi, l’UE accorda tariffe doganali agevolate ai prodotti provenienti da Paesi che si impegnano a ratificare e attuare le Convenzioni dell’OIL e sospende i vantaggi commerciali per i Paesi che non rispettano i diritti fondamentali dei lavoratori[55]. La concessione del regime di preferenze è subordinata dall’UE, pertanto, alla tutela dei diritti umani fondamentali e alla promozione di uno sviluppo sostenibile[56].
Un altro strumento utilizzato dall’UE per la promozione dei diritti dei lavoratori nel commercio internazionale sono gli FTAs di nuova generazione, che l’Organizzazione conclude nell’ambito della sua competenza esclusiva in materia di politica commerciale. Tale competenza è disciplinata dall’art. 207 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la cui portata è stata estesa nel corso degli anni, consentendo all’Unione di adattarsi ai cambiamenti nelle relazioni economico-commerciali e, soprattutto, di seguire le novità gradualmente introdotte nel regime multilaterale degli scambi. A seguito delle modifiche apportate dai Trattati di Amsterdam del 17 giugno 1997, Nizza del 26 febbraio 2001 e, da ultimo, Lisbona del 13 dicembre 2007, l’oggetto della politica commerciale dell’UE è stato progressivamente ampliato, venendo inclusi nel tempo i servizi, gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e, infine, gli investimenti esteri diretti[57].
Gli FTAs conclusi dall’UE includono, in genere, norme volte a salvaguardare i cosiddetti “ non-economic values” ovvero aspetti di natura non economica, apparentemente al di fuori dell’ambito di applicazione specifica del trattato negoziato, ma la cui rilevanza è stata ritenuta dall’UE così fondamentale da richiedere sempre più una tutela di certe materie anche nell’ambito di accordi commerciali[58]. Si tratta, in particolare, delle clausole relative ai diritti umani, tra cui quelli sociali, e all’ambiente.
Per la prima volta, l’UE ha voluto includere un riferimento ai core labour standards dell’OIL nell’accordo di libero scambio con il Sudafrica, firmato nel 1999[59]. Subito dopo, un ulteriore fondamentale rinvio alle norme in materia di diritti dei lavoratori è stato inserito nell’Accordo di Cotonou del 2000, concluso dall’UE con i Paesi ACP (dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico)[60]. Da allora, clausole di questo tipo sono divenute una costante negli FTAs dell’UE.
Dall’accordo di libero scambio con la Repubblica di Corea del 2010, l’UE ha poi iniziato a inserire le norme in materia di lavoro, insieme a quelle relative all’ambiente, in un capo apposito del trattato, intitolato “Commercio e sviluppo sostenibile”[61]. Secondo l’UE, tali capi rappresentano uno strumento essenziale per assicurare una politica commerciale “basata su valori”[62].
Al di là delle differenze tra i diversi trattati, i capi in questione presenti al loro interno contengono norme simili sul piano sia materiale sia procedurale[63].
Per quanto riguarda, nello specifico, il tema del lavoro, tali capi richiedono alle parti di rispettare i core labour standards dell’OIL, attuare le protezioni del lavoro esistenti e creare meccanismi che coinvolgano la società civile nel monitoraggio del rispetto delle regole. Perciò, a livello di norme di natura sostanziale, tali accordi prevedono, in genere, impegni in relazione alle otto convenzioni fondamentali dell’OIL incluse nella Dichiarazione del 1998 sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro.
A livello istituzionale, poi, i capi in materia di “Commercio e sviluppo sostenibile” contemplano, normalmente, la creazione di un “comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile” composto da rappresentanti delle due parti contraenti, che ha il compito di vigilare sull’attuazione del relativo capo. Viene anche previsto un meccanismo di coinvolgimento della società civile in ciascuno dei partner commerciali, che riunisce rappresentanti delle imprese, dei sindacati, delle organizzazioni non governative e, occasionalmente, il mondo accademico in gruppi consultivi nazionali sullo sviluppo sostenibile. Inoltre, è contemplato un forum della società civile, che dovrebbe ulteriormente favorire l’internazionalizzazione del dialogo tra i gruppi consultivi nazionali sullo sviluppo sostenibile e/o altri attori della società civile dell’UE e dei suoi partner commerciali[64]. Questi capi prevedono, altresì, un meccanismo di risoluzione delle controversie apposito, differente dal meccanismo ordinario e generale di risoluzione delle controversie indicato nell’accordo commerciale. La soluzione delle controversie relative al capo “Commercio e sviluppo sostenibile”, infatti, si basa su consultazioni governative e, qualora necessario, l’istituzione di un gruppo di esperti. Perciò, nessuna delle due parti contraenti può avviare un’azione che comporterebbe la sospensione delle preferenze commerciali contro l’altra parte. Ciò significa che non vi è alcun potere sanzionatorio riservato alle parti dell’accordo[65]. Tale orientamento distingue gli FTAs conclusi dall’UE da altri trattati e, in particolare, da quelli statunitensi. Infatti, questi ultimi prevedono l’applicazione ai reclami concernenti le disposizioni in materia di lavoro della stessa procedura di risoluzione delle controversie applicata per le altre disposizioni dell’accordo, essendo possibile, pertanto, l’adozione di sanzioni di natura finanziaria e/o commerciale in caso di accertamento delle violazioni[66].
L’OIL ha definito “condizionale” l’approccio degli Stati Uniti, nel senso che il rispetto delle norme in materia di lavoro viene collegato alle conseguenze economiche che derivano da eventuali violazioni. Invece, l’approccio seguito dall’UE sarebbe di natura “promozionale” poiché, senza stabilire alcun collegamento tra tale rispetto e le eventuali conseguenze economiche, esso predispone un quadro per il dialogo, la cooperazione e/o il monitoraggio[67].
L’approccio “promozionale” dell’UE, voluto soprattutto dalla Commissione, si distingue appunto da quello di Paesi quali il Canada e gli Stati Uniti, che hanno optato invece per un approccio di carattere “sanzionatorio”. La scelta dell’UE è stata, talvolta, criticata per mancanza di efficacia: sia il Parlamento europeo sia anche alcuni Stati membri hanno invocato un approccio maggiormente vincolante, giungendo pure ad auspicare la previsione di possibili sanzioni. Pertanto, la Commissione ha deciso di adottare un “ revamped approach” sull’attuazione degli accordi. In particolare, nel luglio 2017, la Commissione europea ha pubblicato un non-paper, proponendo due possibili opzioni per la riforma delle disposizioni in materia di lavoro contenute nei capi su “Commercio e sviluppo sostenibile”[68]. Come prima alternativa, la Commissione suggeriva il potenziamento degli attuali processi di dialogo e cooperazione previsti negli accordi esistenti, unitamente a un atteggiamento più “assertivo” in termini di utilizzo del meccanismo di reclamo e di altre forme di influenza. La seconda opzione prevedeva, invece, l’attuazione di un “modello con sanzioni” analogo a quello statunitense, attraverso l’introduzione negli FTAs dell’UE di un sistema di risoluzione delle controversie più efficace, sulla falsariga di quello previsto negli accordi di libero scambio conclusi dagli Stati Uniti.
Nel febbraio 2018, la Commissione ha pubblicato un secondo non-paper, esprimendosi a favore della prima opzione, dal momento che esisteva « a clear consensus that the implementation of TSD [Trade and Sustainable Development] chapters should be stepped-up and improved»; la Commissione, pertanto, ha respinto il modello sanzionatorio in quanto non supportato da un consenso generalizzato[69].
Il secondo non-paper ha individuato una serie di interventi “ to revamp the TSD chapters”[70]. In particolare, la Commissione europea ha proposto 15 possibili azioni, tra cui: individuare, considerare e affrontare separatamente le priorità per ciascun Paese partner in relazione alle questioni in materia di commercio e sviluppo sostenibile; incoraggiare la rapida ratifica degli “accordi internazionali fondamentali” (incluse le otto convenzioni dell’OIL alla base dei core labour standards) durante la negoziazione di nuovi accordi commerciali; consentire alla società civile, comprese le parti sociali, di svolgere meglio il proprio ruolo nell’attuazione dell’accordo; aumentare le risorse disponibili per l’applicazione del capo “Commercio e sviluppo sostenibile”; attuare un “ more assertive enforcement” degli obblighi inclusi nel capo suddetto, anche attraverso un maggiore monitoraggio degli impegni, lo sviluppo di piani d’azione per i partner commerciali in caso di problemi e l’avvio di processi di risoluzione delle controversie qualora non vengano seguiti i piani d’azione.
Andando più nel dettaglio, per quanto riguarda il regime sostanziale, gli FTAs dell’UE includono tre diversi gruppi di clausole: clausole contenenti impegni basati su standard internazionali esistenti, che prevedono obblighi di ratifica delle convenzioni internazionali in materia di protezione del lavoro; clausole con obblighi relativi alla legislazione nazionale in vigore; clausole di natura più ambiziosa che si riferiscono al rispetto di più elevati standard di protezione[71].
Per quel che concerne gli obblighi basati sugli standard internazionali esistenti, gli FTAs possono, prima di tutto, chiedere alle parti contraenti la ratifica di convenzioni internazionali specifiche non ancora ratificate[72]. A volte, l’impegno alla ratifica è formulato meramente come un best effort obligation[73], non venendo pertanto assicurata la ratifica in questione.
In genere, la best-effort clause inclusa negli FTAs dell’UE copre, almeno, le otto convenzioni fondamentali dell’OIL in materia di libertà di associazione, negoziazione collettiva, divieto di lavoro minorile, divieto di lavoro forzato e non discriminazione. Una clausola di questo tipo è presente, ad esempio, nell’accordo di libero scambio con la Repubblica di Corea, che è stato all’origine del primo caso concernente la violazione di norme in materia di lavoro contenute in un trattato commerciale concluso dall’UE[74]. Dopo aver a lungo inutilmente manifestato preoccupazione per varie prassi coreane in materia di lavoro e per la mancata ratifica da parte della Corea del Sud di quattro delle otto Convenzioni fondamentali dell’OIL (due in materia di lavoro forzato e due riguardanti la libertà di associazione), nel dicembre 2018 la Commissione europea ha fatto ricorso alla procedura di risoluzione delle controversie prevista nel capo “Commercio e sviluppo sostenibile” dell’accordo di libero scambio del 2010[75]. Tuttavia, nella decisione del gennaio 2021, il Panel ha escluso la violazione a opera della Corea dell’obbligo di “sforzi continui e sostenuti” di ratificare quattro delle otto convenzioni fondamentali dell’OIL. Secondo il Panel di esperti, infatti, nonostante l’Accordo imponesse l’obbligo di compiere sforzi continui, la Corea non si sarebbe impegnata a ratificare le convenzioni dell’OIL entro una data specifica[76]. Tale decisione, pertanto, evidenzia la limitata efficacia delle best-effort clauses presenti negli accordi conclusi dall’UE.
In altre circostanze, l’UE ha seguito una strada diversa, operando pressioni sull’altra parte contraente, una volta terminata la negoziazione dell’accordo, affinché tale parte ratificasse determinate convenzioni internazionali prima della ratifica dell’accordo di libero scambio a opera dell’Unione. Ciò è accaduto, ad esempio, con l’accordo con il Vietnam del 2019[77].
Vi sono negli FTAs dell’UE, poi, anche norme che prevedono, meramente, l’impegno delle parti di rispettare, promuovere e attuare i principi fondamentali, pure qualora una parte non abbia ancora ratificato la convenzione che contiene uno specifico principio. Una tale formulazione potrebbe indurre ad attribuire una natura essenzialmente di soft law a clausole di questo tipo. Tuttavia, nel succitato caso relativo alla controversia di lavoro tra l’UE e la Repubblica di Corea, il Panel ha interpretato un tale impegno come un obbligo vincolante. Infatti, il Panel ha riscontrato che la Corea aveva violato in vari modi il principio della libertà di associazione, inerente all’appartenenza all’OIL ed espresso in una dichiarazione chiave dell’Organizzazione, ad esempio avendo escluso i lavoratori, autonomi, licenziati o disoccupati, dalla possibilità di aderire ai sindacati[78].
Altre norme, infine, obbligano le parti, in termini generici, ad applicare in modo effettivo le convenzioni multilaterali sul lavoro che hanno ratificato e, talvolta, vi è un riferimento a specifiche convenzioni in materia di lavoro che le parti sono tenute ad attuare[79].
Un secondo gruppo di clausole presenti nei capi “Commercio e sviluppo sostenibile”, poi, include quelle che richiamano la legislazione nazionale delle parti contraenti. In primo luogo, viene confermato il diritto di ciascuna parte di regolamentare le questioni in materia di lavoro (come anche di ambiente), a condizione che le leggi e le politiche nazionali siano compatibili con gli impegni internazionali della parte[80]. In secondo luogo, ciascuna parte è obbligata a non abbassare il livello nazionale di protezione in materia di lavoro. A tal fine, si specifica che le parti dell’accordo non devono rendere meno stringenti le leggi sul lavoro. Tale obbligo può essere formulato attraverso due diversi strumenti: la c.d. “clausola di non regresso”, in virtù della quale le parti si impegnano a non regredire nel livello di protezione previsto dalle leggi sul lavoro; la c.d. “clausola di non applicazione”, in conformità della quale le parti sono tenute a far rispettare le leggi nazionali in materia. In entrambi i casi, peraltro, l’obbligo viene collegato alla condizione che l’azione della parte abbia o possa avere effetti sul commercio e sugli investimenti[81]. Proibire il regresso o la non applicazione della legislazione in tema di lavoro solo sulla base dell’intento di incoraggiare il commercio o gli investimenti, senza alludere alla portata dell’effetto o alla violazione degli impegni internazionali, potrebbe avere conseguenze significative. Dover dimostrare che un deterioramento della protezione sociale abbia un impatto concreto sul commercio o sugli investimenti, infatti, rischia di svuotare completamente di significato la clausola di non regresso e quella di non applicazione. Ciò si è verificato, in effetti, nel primo caso (in assoluto) concernente la tutela dei diritti dei lavoratori nell’ambito di un FTA: la controversia tra Stati Uniti e Guatemala nel contesto del CAFTA-DR del 2004[82]. Tale controversia ha avuto origine nel 2008, a causa di una denuncia al Department of Labor statunitense da parte di American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations (AFL – CIO) e di sei sindacati guatemaltechi[83]. A seguito della denuncia, nell’agosto 2010 gli Stati Uniti hanno formalmente avviato il caso nel contesto dell’accordo internazionale, esprimendo preoccupazione per il presunto trattamento dei lavoratori guatemaltechi e sostenendo che la violazione delle norme lavoristiche da parte del Guatemala pregiudicava i lavoratori statunitensi, dal momento che gli standard di tutela contemplati dall’ordinamento guatemalteco, in quanto inferiori a quelli previsti dalla legislazione statunitense, permettevano una riduzione dei costi, incidendo in tal modo negativamente sulla concorrenza nel mercato internazionale. Nella richiesta ufficiale di consultazioni, gli Stati Uniti hanno accusato il Guatemala di non avere applicato, in modo effettivo, le leggi nazionali in materia di protezione dei diritti dei lavoratori, inclusi la libertà di associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto a lavorare in condizioni accettabili. Nel 2012 è stato istituito il Panel, ma le due parti hanno convenuto di sospendere il procedimento fino all’anno successivo, per consentire al Guatemala di migliorare l’applicazione delle proprie leggi in materia di lavoro. Gli Stati Uniti hanno chiesto al Panel, in seguito, di continuare il suo esame, ritenendo che il Guatemala non avesse fatto a sufficienza in tale settore, pur osservando che alcuni miglioramenti erano stati apportati, come l’assunzione di più ispettori del lavoro. Nel 2017, tuttavia, il Panel ha concluso che il Guatemala non aveva violato le norme sul lavoro presenti nell’Accordo (in particolare l’art. 16.2 del CAFTA-DR, che richiede alle parti di assicurare l’applicazione effettiva delle proprie leggi in materia di lavoro) e che la presunta mancata applicazione della legislazione nazionale sul lavoro non era avvenuta “ in a manner affecting trade”[84]. Il Panel ha considerato elementi specifici nel valutare la relazione tra il rispetto dei diritti dei lavoratori e il commercio, ad esempio, esaminando le violazioni del diritto alla libertà di associazione da parte di un datore di lavoro e la valutazione di tale violazione da parte dei tribunali nazionali, constatando che l’insufficiente applicazione delle norme aveva dato a quel datore di lavoro un vantaggio competitivo. Tuttavia, questo vantaggio non era generalmente riconoscibile per altri casi in cui le norme sul lavoro non erano state applicate e, di conseguenza, non era dimostrato che si trattava di « a sustained or recurring course of action or inaction» che era anche « in a manner affecting trade»[85]. Perciò, pur ritenendo il Guatemala responsabile di diverse inadempienze, il Panel ha concluso, nella decisione del 2017, che non vi era stata alcuna violazione del CAFTA, in quanto gli Stati Uniti non erano stati in grado di dimostrare che il Guatemala aveva mancato di applicare le sue leggi in materia di lavoro “ in a manner affecting trade” tra le parti. Nel presente caso, il Panel non ha elaborato un test rigoroso attraverso cui verificare l’effetto di determinate condotte sul commercio, limitandosi a richiedere agli Stati Uniti di dimostrare che le pratiche contestate avessero conferito « some competitive advantage on an employer or employers engaged in trade» con tale Stato[86]. Una tale soglia sembrerebbe essere, invero, piuttosto bassa[87]. Analoghe incertezze esistono per gli FTAs conclusi dall’UE, per i quali pure non sono state ancora fornite indicazioni specifiche su come interpretare il test degli effetti sugli scambi o sugli investimenti contenuto nelle clausole di non regresso e di non applicazione presenti in tali accordi, rendendo più difficile l’applicazione delle suddette clausole.
Negli FTAs vi è, infine, un terzo gruppo di clausole di natura sostanziale con disposizioni formulate in termini più generici, volte a promuovere il rispetto di più elevati standard in materia di lavoro[88]. Peraltro, sebbene la mancata previsione di sanzioni consenta all’UE l’utilizzo di un linguaggio più ambizioso nei suoi accordi di libero scambio[89], non è detto che la formulazione di aspirazioni più ampie induca effettivamente a risultati maggiormente significativi. Secondo alcuni autori, inoltre, il contenuto meno definito degli obblighi in materia di sostenibilità presenti negli FTAs dell’UE, renderebbe più difficile il rispetto di tali obblighi, giustificandone la mancanza di efficacia[90].
Per quanto riguarda il regime procedurale, come si è anticipato, gli FTAs dell’UE contengono clausole che prevedono meccanismi appositi di risoluzione delle controversie in materia di commercio e sviluppo sostenibile, che sono diversi rispetto a quelli indicati per le controversie relative alle restanti norme del trattato. Ad esempio, l’art. 13.16 dell’accordo tra l’UE e la Repubblica di Corea afferma, espressamente, che le questioni relative al capo “Commercio e sviluppo sostenibile” non possono essere sottoposte al meccanismo di risoluzione delle controversie generalmente previsto per gli altri capi dell’Accordo. Tale scelta appare estremamente critica, infatti, rischia di indebolire la credibilità degli standard di sostenibilità, soprattutto perché spesso si accompagna all’idea che, essendo le norme in materia di lavoro (e di ambiente) meno definite, una loro eventuale violazione sarebbe più difficile da accertare.
La procedura specifica di risoluzione delle controversie si fonda sulle consultazioni tra i governi e sulla possibile istituzione di un gruppo di esperti. Ai sensi dell’art. 13.14 dell’accordo con la Repubblica di Corea, ad esempio, una parte può chiedere consultazioni con l’altra parte mediante una richiesta scritta, dopo di che le consultazioni sono avviate. Le parti compiono ogni sforzo per giungere a una soluzione che sia soddisfacente per entrambe; a ogni modo, il Comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile può essere convocato su richiesta di una parte se essa ritiene che una questione debba essere ulteriormente esaminata. Tale Comitato può consultare i gruppi consultivi nazionali di una o di entrambe le parti; un gruppo consultivo nazionale di una parte può, altresì, presentare di sua iniziativa comunicazioni a quella parte o al comitato. Secondo l’art. 13.15 dell’Accordo, trascorsi 90 giorni dalla richiesta di consultazioni, una parte può chiedere la convocazione del gruppo di esperti al fine di esaminare la questione che non è stata affrontata in modo soddisfacente attraverso le consultazioni governative. Entro 90 giorni dalla selezione dell’ultimo esperto, il panel presenterà una relazione alle parti, che si adopereranno, per quanto possibile, per tenere conto dei pareri o delle raccomandazioni contenuti nel rapporto. L’attuazione delle raccomandazioni del gruppo di esperti è monitorata dal Comitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile. Pertanto, le parti possono fare affidamento solo sulle consultazioni governative e sul gruppo di esperti; inoltre, le conclusioni del collegio di esperti non sono vincolanti per le parti, né possono imporre loro sanzioni.
Invero, vi sono alcune disposizioni procedurali relative al meccanismo ordinario di risoluzione delle controversie indicato dal trattato che possono applicarsi anche alle controversie relative ai capi “Commercio e sviluppo sostenibile”. Infatti, in entrambi i casi, la controversia è deferita a esperti indipendenti, che dovrebbero accertare la compatibilità della misura contestata (o della mancanza di essa) con le norme del trattato. Inoltre, in entrambi i casi, una violazione degli standard internazionali applicabili non richiede la dimostrazione di effetti sul commercio. Tuttavia, vi è una differenza fondamentale tra le due procedure nelle conseguenze dell’accertamento. In primo luogo, l’accertamento di una violazione degli standard contenuti nel capo “Commercio e sviluppo sostenibile” non è vincolante, rappresentando meramente tale accertamento un elemento utile nei tentativi delle parti di risolvere la controversia[91]. La mancanza di un’efficacia vincolante riduce, chiaramente, l’impatto della decisione del panel. Oltretutto, per le controversie riguardanti il suddetto capo, la decisione può anche non essere pubblicata o essere pubblicata con notevole ritardo. Come si è osservato, inoltre, nel caso di mancato rispetto degli standard di sostenibilità, a differenza di quanto previsto per il normale meccanismo di risoluzione delle controversie, se lo Stato convenuto rifiuta di conformarsi agli standard di sostenibilità non sono previste sanzioni.
Peraltro, è molto importante ricordare che l’UE sta cercando di introdurre requisiti di sostenibilità obbligatori con la possibilità di adottare sanzioni nei confronti delle società con sede nell’UE e dei loro fornitori esteri[92], sostenendo una responsabilità degli operatori privati per eventuali violazioni delle norme a tutela di diritti umani e dell’ambiente nell’intero corso delle loro filiere di approvvigionamento. Appare insensato ritenere tali requisiti troppo vaghi per i governi ma sufficientemente rigorosi per gli stakeholders privati.
Va aggiunto anche che il Panel, istituito nell’ambito del tradizionale sistema di risoluzione delle controversie previsto dall’accordo di associazione tra l’UE e l’Ucraina del 2014[93], ha considerato il capo sulla sostenibilità ivi incluso nel contesto generale del Trattato[94]. Infatti, secondo il Panel, sebbene molte disposizioni presenti nel capo sembrassero avere un carattere promozionale o programmatico, tuttavia, tale capo forniva un “contesto” pertinente per valutare la legalità di una restrizione commerciale[95]. Inoltre, a distanza di poco tempo, nella controversia in materia di lavoro fondata sull’accordo di libero scambio tra l’UE e la Repubblica di Corea, il Panel istituito ha affermato che il carattere promozionale degli impegni contenuti nel capo “Commercio e sviluppo sostenibile” non li privava di efficacia vincolante[96]. Di conseguenza, non sembra potersi individuare una differenza sostanziale nella natura giuridica dei capi su “Commercio e sviluppo sostenibile” rispetto agli altri capi contenuti negli FTAs e soggetti al sistema ordinario di risoluzione delle controversie.
Molto importante per il tema trattato appare l’Accordo globale sugli investimenti ( Comprehensive Agreement on Investment - CAI)[97] tra l’UE e la Cina, il cui testo “ in principle” è stato concordato il 30 dicembre 2020 dopo 35 rounds negoziali iniziati nel 2014, destinato a sostituire i 25 Bilateral Investment Treaties (BITs) attualmente in vigore tra i Membri dell’UE e la Cina.
Tale Trattato, sebbene non sia un FTA, rientra nella categoria dei cosiddetti “accordi di nuova generazione” poiché, soprattutto a causa della pressione esercitata dall’UE, va oltre gli accordi commerciali dell’OMC e i tradizionali BITs, prevedendo, ad esempio, obiettivi di sviluppo sostenibile tra i suoi capisaldi.
L’Accordo è suddiviso in sei sezioni, che possono essere raggruppate in due categorie. In primo luogo, vi sono le disposizioni sostanziali, che comprendono: la sezione I sugli obiettivi e le definizioni generali, la sezione II sulla liberalizzazione degli investimenti, la sezione III sul quadro normativo e la sezione IV sugli investimenti e lo sviluppo sostenibile. In secondo luogo, vi sono le disposizioni procedurali e istituzionali, che sono incorporate nella sezione V sulla soluzione delle controversie e nella sezione VI sulle disposizioni istituzionali e finali.
La sezione IV dell’Accordo è, dunque, dedicata allo sviluppo sostenibile. Tale sezione è a sua volta suddivisa in tre sottosezioni, riguardanti rispettivamente il contesto e gli obiettivi della sezione; l’ambiente; il lavoro.
La sezione sullo sviluppo sostenibile è stata acclamata come uno dei risultati principali dei negoziati poiché, sebbene le disposizioni in materia siano divenute sempre più importanti negli FTAs conclusi dall’UE[98], il CAI è il primo accordo della Cina con una sezione del genere. Tale sezione contiene disposizioni sui diritti dei lavoratori, sui cambiamenti climatici e sulla responsabilità sociale delle imprese. Viene riconosciuto in primo luogo, all’inizio delle due sottosezioni dedicate, rispettivamente, all’ambiente e al lavoro, il diritto di ciascuna Parte di determinare le proprie politiche e priorità in materia di sviluppo sostenibile, di stabilire i propri livelli di protezione nazionale in materia di lavoro e protezione ambientale e, di conseguenza, di adottare o modificare le proprie leggi e politiche al riguardo, compatibilmente con i propri impegni multilaterali nei settori del lavoro e dell’ambiente[99]. Inoltre, per quanto riguarda nello specifico il lavoro, le parti si impegnano sia a garantire che le proprie leggi e politiche prevedano e incoraggino livelli elevati di protezione del lavoro sia a continuare a migliorare tali leggi e politiche, senza abbassare il livello di protezione[100].
Tuttavia, gli obblighi inclusi nella sezione IV si basano, fondamentalmente, su impegni già assunti dalle parti in virtù di altri trattati internazionali in materia di ambiente e lavoro. Inoltre, le clausole relative al lavoro appaiono ancor meno stringenti rispetto a quelle riguardanti l’ambiente. Esse, infatti, sono normalmente formulate secondo un “ best-effort approach”, poiché le parti semplicemente “si adopereranno per garantire”[101] o “compieranno sforzi continui e sostenuti di propria iniziativa” a ratificare le convenzioni fondamentali dell’OIL ancora non ratificate[102].
Come abitualmente accade negli FTAs dell’UE, la sezione riguardante lo sviluppo sostenibile non è coperta dalle clausole generali di soluzione delle controversie presenti nel CAI; è, infatti, prevista una procedura apposita, simile a quella indicata nell’accordo di libero scambio tra l’UE e la Repubblica di Corea[103]. Secondo tale procedura, vi sono, in primo luogo, consultazioni bilaterali tra le parti; successivamente, se la controversia non dovesse essere risolta in una maniera soddisfacente entro 120 giorni, una parte può chiedere la costituzione del panel di esperti. Il rapporto adottato dal panel dovrebbe rappresentare la base per una soluzione della controversia a opera delle parti[104]. La sottosezione 4 di tale sezione include importanti regole volte a garantire una maggiore trasparenza dei procedimenti. Ad esempio, la richiesta di consultazioni o di istituzione del panel deve essere resa pubblicamente disponibile e ciascuna Parte può rendere pubblicamente disponibili anche le proprie osservazioni o dichiarazioni al gruppo di esperti; inoltre, l’udienza del panel deve essere aperta al pubblico[105] e il suo rapporto finale deve essere reso pubblicamente disponibile[106]. È riconosciuto, infine, il diritto delle persone fisiche e giuridiche di partecipare come amicus curiae nei procedimenti del panel[107]; tale previsione potrebbe facilitare l’accesso delle organizzazioni non governative nel procedimento di soluzione della controversia.
Indubbiamente, è fondamentale che le questioni ambientali e le violazioni dei diritti del lavoro siano sottoposte al controllo internazionale; tuttavia, il sistema di risoluzione delle controversie previsto è, anche in questo caso, scarsamente efficace[108]. Nel complesso, questa sezione esprime la necessità di trovare un equilibrio tra interessi concorrenti: da un lato, si tiene conto del diritto di ciascuna parte di definire le proprie politiche in materia di lavoro e ambiente, dall’altro, si tenta di raggiungere gli elevati livelli di protezione richiesti dall’UE in altri trattati.
Peraltro, la ratifica del Trattato da parte dell’UE è al momento incerta poiché, il 20 maggio 2021, il Parlamento europeo ha votato a favore della sospensione del processo di ratifica del CAI a causa delle sanzioni cinesi nei confronti di cinque funzionari europei[109]. Queste sanzioni sono state adottate dalla Cina per reagire a quelle imposte dai Paesi occidentali a seguito delle gravi violazioni dei diritti umani, tra cui il lavoro forzato, commesse da Pechino a danno degli Uiguri, una minoranza di etnia turcofona e di religione musulmana che vive nello Xinjiang, regione nord-occidentale della Cina.
In assenza di una “clausola sociale” negli accordi OMC, gli Stati hanno iniziato a disciplinare il rapporto commercio/diritti dei lavoratori attraverso i sistemi nazionali (o dell’UE) di preferenze generalizzate e, soprattutto, ricorrendo ad accordi commerciali bilaterali e regionali, essenzialmente gli FTAs di nuova generazione. Le clausole inserite in tali trattati, peraltro, sebbene potenziate e ampliate negli anni, hanno ancora una portata limitata e, di conseguenza, spesso non consentono di affrontare in modo adeguato le eventuali conseguenze negative che la liberalizzazione commerciale può avere sulla tutela dei diritti dei lavoratori.
Ciò emerge chiaramente dalla prassi convenzionale dell’UE che, nonostante gli sforzi di tale Organizzazione a favore di una globalizzazione più equa e sostenibile, continua a presentare numerosi limiti. Tuttavia, potrebbero essere apportate alcune modifiche alle clausole contenute negli FTAs che, probabilmente, garantirebbero loro una maggiore incisività. Ad esempio, per quanto riguarda il regime sostanziale, invece di formulare le clausole secondo un “ best-effort approach”, dando loro essenzialmente una natura di soft law, sarebbe preferibile che le norme inserite negli accordi di libero scambio fossero utilizzate quale strumento per consolidare gli obblighi internazionali già esistenti e, ancor di più, rafforzare tali impegni. Inoltre, le clausole di non regresso e di non applicazione andrebbero riformulate in modo che un eventuale diminuzione del livello di protezione nelle leggi nazionali in materia di diritti dei lavoratori non sia rilevante solo nel caso in cui ciò incoraggi o influenzi il commercio o gli investimenti.
Sul piano procedurale, dovrebbe essere riconosciuto alle parti private interessate un diritto ad agire, a livello internazionale, nel caso in cui vi sia una violazione delle norme in materia di lavoro contenute negli FTAs o, quanto meno, un diritto di petizione che consenta loro di chiedere indagini su eventuali violazioni.
Altresì, aspetto fondamentale, le clausole relative ai diritti dei lavoratori dovrebbero essere considerate alla stregua degli altri articoli contenuti negli FTAs. Il rapporto del panel del gennaio 2021 relativo alla controversia in materia di lavoro tra l’UE e la Repubblica di Corea ha, di fatto, riconosciuto che la natura giuridica di molti standard contenuti nel capo “Commercio e sviluppo sostenibile” non differisce da quella di altre norme incluse nell’accordo di libero scambio, soggette ai tradizionali procedimenti di risoluzione delle controversie. Di conseguenza, tutte le controversie relative all’accordo dovrebbero essere risolte con lo stesso meccanismo e la stessa procedura, con la possibilità di concludere il procedimento sempre con una decisione vincolante.
Infine, sebbene talvolta l’adozione di sanzioni in caso di violazioni delle norme dell’accordo sia auspicabile, l’approccio sanzionatorio dovrebbe essere sempre inteso come complementare e non alternativo all’approccio promozionale abitualmente seguito dall’UE nei capitoli “Commercio e sviluppo sostenibile”. Infatti, le ritorsioni commerciali possono avere numerose conseguenze negative sul piano economico e, contestualmente, dimostrarsi poco efficaci nella tutela dei non-economic values. D’altronde, anche quando non vengono esplicitamente previste misure di questo tipo, gli Stati dovrebbe potere adottare sanzioni, ad esempio di tipo pecuniario, quale strumento per favorire l’osservanza delle norme del trattato. Molte delle considerazioni relative agli FTAs dell’UE riguardano la maggior parte degli accordi di libero scambio di nuova generazione. Infatti, anche qualora venga preferito un approccio “sanzionatorio” e, apparentemente, più rigoroso, tuttavia le clausole sociali sono formulate, quasi sempre, ancora in maniera tale da non garantire una tutela efficace dei diritti dei lavoratori nel commercio internazionale.
Invero, non sempre il rispetto dei core labour standards è considerato una precondizione e uno strumento per uno sviluppo economico sostenibile, per la crescita economica e l’efficienza economica, anzi, diversi economisti, strenui difensori della liberalizzazione degli scambi, sono poco propensi o, addirittura, contrari all’inclusione di una clausola sociale nei trattati commerciali internazionali, sostenendo che una tale misura danneggerebbe il vantaggio comparato nel commercio internazionale dei Paesi con produzioni labour intensive, che si fondano su una manodopera poco qualificata. Secondo questi autori, la violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori non avrebbe un collegamento diretto con il commercio estero, ma sarebbe determinata da fattori endogeni e da cause socio-economiche interne, sulle quali occorrerebbe agire, senza interferire sulle importazioni ed esportazioni dei Paesi in via di sviluppo[110].
Peraltro, sebbene la globalizzazione possa rappresentare, in via di principio, un essenziale fattore di sviluppo economico per tutti i Paesi, tuttavia, essa dev’essere accompagnata da regole sociali volte a proteggere in modo effettivo i diritti dei lavoratori che tale sviluppo hanno contribuito a creare. Clausole più efficaci in materia di diritti dei lavoratori negli FTAs possono favorire una globalizzazione sostenibile e una più equa ridistribuzione della ricchezza. L’inesistenza, però, di norme multilaterali atte a collegare commercio e investimenti da una parte e diritti fondamentali dei lavoratori dall’altra rappresenta un grave limite per la globalizzazione. Una regolamentazione multilaterale della materia è, in realtà, indispensabile poiché, solo se la generalità degli Stati è tenuta a rispettare gli stessi standard, si può impedire ad alcuni Stati o ad alcune imprese di approfittare dei vantaggi economici connessi agli scambi e agli investimenti internazionali derivanti dalla mancata previsione o dal mancato rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori.
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[1] Cfr. al riguardo, ILO: Handbook on Assessment of Labour Provisions in Trade and Investment Arrangements, Geneva, 2017, p. 1.
[2] V. al riguardo Lamp, N.: “How Should We Think About the Winners and Losers from Globalization? Three Narratives and Their Implications for the Redesign of International Economic Agreements”, European Journal of International Law, 2019, pp. 1359-1397.
[3] La bibliografia su tali temi è particolarmente ampia, si vedano tra gli altri: Irish, M. (ed.): The Auto Pact: Investment, Labour and the WTO, Kluver Law International, The Hague, 2004; Daugareilh, I. (sous la dir. de), Mondialisation, travail, et droits fondamentaux, Bruylant, Bruxelles, 2005; Howse, R.; Langille, B.: Burda, J.: “The World Trade Organization and Labour Rights: Man Bites Dog”, in Leary, V. A; Warner, D. (eds.): Social Issues, Globalisation and International Institutions: Labour Rights and the EU, ILO, OECD and WTO, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden, 2005, pp. 157-231; MacCrudden, C.; Davies, A.: “International Trade Law and Labour Rights”, in Gehring, M. W.: Cordonier Segger, M. - C. (eds.): Sustainable Development in World Trade Law, Kluver Law International, The Hague, 2005, pp. 107-127; Kahn, P.: “Investissements internationaux et droits de l’homme”, in Horchani, F. (sous la direction de): Où va le droit de l’investissement. Désordre normatif et recherche d’équilibre. Actes du colloque organisé à Tunis les 3 et 4 mars 2006, Éditions A. Pedone, Paris, 2007, pp. 95-109; Kaufmann, C.: Globalisation and Labour Rights: the Conflict between Core Labour Rights and International Economic Law, Bloomsbury Publishing, Oxford, 2007; Liberti, L.: “Investissements et droits de l’homme”, in Kahn, P.; Walde, T. (eds.): New Aspects of International Investment Law, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden, 2007, pp. 791-852; Leben, C.: “L’activité des enterprises dans une économie mondialisée et le droit international public”, in Boschiero, N.; Luzzatto, R. (a cura di): I Rapporti economici internazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico. Soggetti, valori e strumenti (XII Convegno SIDI, Milano, 8-9 giugno 2007), Editoriale Scientifica, Napoli, 2008, pp. 59-86; Joseph, S.; Kinley, D.; Waincymer, J. (eds.): The World Trade Organization and Human Rights: Interdisciplinary Perspectives, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2009; Marceau, G.: “Trade and Labour”, in Bethlehem, D.; McRae, D.; Neufeld, R.; Van Damme, I. (eds.): The Oxford Handbook of International Trade Law, Oxford University Press, Oxford, 2009, pp. 539-570; Footer, M. E.: “BITs and Pieces: Social and Environmental Protection in the Regulation of Foreign Investment”, Journal of International Law and Practice, 2010, pp. 33-64; Cordonier Segger, M. - C.; Gehring, M. W.; Newcombe, A. (eds.): Sustainable Development in World Investment Law, Kluver Law International, Alphen aan den Rijn, 2011; Mauro, M. R.: “ Labour Standards, commercio internazionale e investimenti stranieri: la tutela di interessi (in)compatibili nel diritto internazionale”, in Deli, M. B.; Mauro, M. R.; Pernazza, F.; Traisci, F. P. (a cura di): Impresa e diritti fondamentali in una prospettiva transnazionale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012, pp. 217-256; Harrison, J.: “The Labour Rights Agenda in Free Trade Agreements”, Journal of World Investment & Trade, 2019, pp. 705-725; Di Lollo, M.:“L’applicazione delle clausole sociali negli accordi di libero scambio alla luce della recente prassi arbitrale”, La Comunità Internazionale, n. 3, 2019, pp. 475-502; ILO: Labour Provisions in G7 Trade Agreements: a Comparative Perspective, Geneva, 2019; Tyc, A.: Global Trade, Labour Rights and International Law. A Multilevel Approach, Routledge, London, 2021.
[4] V. al riguardo Charnovitz, S.: “The Influence of International Labour Standards on the World Trading Regime. A Historical Overview”, International Labour Review, n. 126, 1987, p. 569.
[5] Cfr. l’art. 23, lett. a). Il Patto fu firmato il 28 giugno del 1919 come parte I del Trattato di Versailles.
[6] La Carta era il risultato della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e l’occupazione, che ebbe luogo a L’Avana tra il 21 novembre 1947 e il 26 marzo 1948.
[7] Cfr. l’art. 7, par. 1, della Carta.
[8] Infatti, secondo l’art. 7, par. 2, “ Members which are also members of the International Labour Organisation shall cooperate with that organization in giving effect to this undertaking”. Nel par. 3 dello stesso articolo, poi, si affermava: “ In all matters relating to labour standards that may be referred to the Organization in accordance with the provisions of Articles 94 or 95, it shall consult and co-operate with the International Labour Organisation”. L’OIL è l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale, istituita nel 1919 con il Trattato di Versailles. Dopo il periodo di grave crisi internazionale legato alla seconda guerra mondiale, i Membri dell’Organizzazione hanno ribadito i loro obiettivi, alla base dell’istituzione dell’OIL, nella Declaration Concerning the Aims and Purposes of the International Labour Organisation (“Dichiarazione di Filadelfia”), adottata il 10 maggio 1944 dalla Conferenza internazionale del lavoro, nella quale viene potenziato il mandato sociale dell’Organizzazione.
[9] Il GATT è stato firmato, a Ginevra, il 30 ottobre 1947.
[10] Il “GATT 1994” ha incorporato l’originario Accordo generale sulle tariffe e il commercio (ora denominato “GATT 1947”), le disposizioni degli atti giuridici entrati in vigore nel contesto del GATT 1947 prima della data di entrata in vigore dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (ovvero i protocolli e le certificazioni sulle concessioni tariffarie; i protocolli di adesione; e le decisioni delle PARTI CONTRAENTI), le intese interpretative e il Protocollo di Marrakech del GATT 1994 concluso durante l’ Uruguay Round. Le intese interpretative si riferiscono a norme specifiche del GATT 1994 e sono volte a chiarirne l’ambito di applicazione e il contenuto. Il Protocollo di Marrakech, invece, contiene gli elenchi delle concessioni e le modalità della loro applicazione.
[11] Con l’espressione “clausola sociale” o “ trade-labour conditionality” si allude, in senso stretto, al rispetto dei diritti dei lavoratori considerati essenziali, in quanto espressione propria dei diritti fondamentali dell’uomo, che rappresentano la precondizione per l’esercizio di tutti gli altri diritti dei lavoratori, la base da cui partire per il miglioramento delle condizioni di lavoro individuali e collettive. Si veda al riguardo Blengino, C.: “La dimensione sociale del commercio internazionale”, in Porro, G.: Studi di diritto internazionale dell’economia, G. Giappichelli Editore, Torino, 2006, p. 272. Tuttavia, in un’accezione più ampia, con tale espressione si allude, in via generale, alle clausole in materia di lavoro e tutele sociali presenti negli accordi commerciali ed economici internazionali. Tale seconda accezione verrà accolta nel presente contributo.
[12] Cfr. il Preambolo.
[13] La I Conferenza ministeriale dell’OMC ha avuto luogo a Singapore tra il 9 e il 13 dicembre 1996.
[14] Cfr. il par. 4 della Dichiarazione adottata il 13 dicembre 1996, secondo cui: “ We renew our commitment to the observance of internationally recognized core labour standards. The International Labour Organization (ILO) is the competent body to set and deal with these standards, and we affirm our support for its work in promoting them. We believe that economic growth and development fostered by increased trade and further trade liberalization contribute to the promotion of these standards. We reject the use of labour standards for protectionist purposes, and agree that the comparative advantage of countries, particularly low-wage developing countries, must in no way be put into question. In this regard, we note that the WTO and ILO Secretariats will continue their existing collaboration”.
[15] La III Conferenza ministeriale dell’OMC ha avuto luogo, a Seattle, dal 30 novembre al 3 dicembre 1999.
[16] La IV Conferenza ministeriale dell’OMC ha avuto luogo, a Doha, dal 9 al 14 novembre 2001.
[17] V. Panagaryia, A.: “Trade-Labour Link: a Post-Seattle Analysis”, in Drabek, Z. (ed.): Globalisation Under Threat: the Stability of Trade Policy and Multilateral Agreements, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2001, pp. 101-123.
[18] Cfr. al riguardo Addo, K.: “The Correlation between Labour Standards and International Trade – Which Way Forward?”, Journal of World Trade, 2002, pp. 285-303.
[19] Cfr. la Dichiarazione di Filadelfia, in particolare l’art. II.
[20] La Dichiarazione sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta è stata adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro in occasione della sua novantasettesima sessione, a Ginevra, il 10 giugno 2008.
[21] Cfr. la sez. II, lett. A), par. IV, della Dichiarazione.
[22] Cfr. il par. 5 della Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro in occasione della sua ottantaseiesima sessione, a Ginevra, il 18 giugno 1998.
[23] Cfr. la sez. I, lett. A), par. IV, della Dichiarazione sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta.
[24] Cfr. il par. 16, lett. h), della risoluzione riguardante il lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento mondiali del 10 giugno 2016. V. al riguardo ILO, Handbook on Assessment of Labour Provisions in Trade and Investment Arrangements, cit., p. 23.
[25] L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è il programma d’azione approvato, nel settembre 2015, dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite (cfr. la risoluzione adottata dall’Assemblea generale il 25 settembre 2015 Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, A/RES/70/1). Tale Agenda include 17 “Obiettivi per lo sviluppo sostenibile” ( Sustainable Development Goals – SDGs), che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030. In particolare, l’obiettivo 8 (“Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”) dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, dedicato al lavoro dignitoso e alla crescita economica, è volto a promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, l’impiego e il lavoro dignitoso per tutti. Inoltre, l’obiettivo 17 (“Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile”) invita a una liberalizzazione commerciale significativa e durevole attraverso un sistema commerciale multilaterale basato su regole eque.
[26] Cfr. UNCTAD, Nairobi Maafikiano – From Decision to Action: Moving Towards an Inclusive and Equitable Global Economic Environment for Trade and Development, 2016, TD/519/Add.2, par. 29.
[27] Il NAFTA è stato firmato il 17 dicembre 1992 ed è entrato in vigore il 1º gennaio 1994. Di recente, tale Accordo è stato sostituito dallo United States-Mexico-Canada Agreement (USMCA), firmato da Canada, Messico e Stati Uniti il 30 novembre 2018 ed entrato in vigore l’1 luglio 2020, che prevede, rispetto al sistema NAFTA, una maggiore protezione dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
[28] Invece, nei trattati commerciali successivi, le clausole in materia di lavoro sono state inserite, generalmente, in capitoli appositi contenuti all’interno dello stesso accordo commerciale.
[29] L’Accordo è stato firmato il 13 settembre 1993. Congiuntamente è stato concluso anche l’Accordo nordamericano sulla cooperazione ambientale ( North American Agreement on Environmental Cooperation - NAAEC), dedicato appunto all’ambiente.
[30] Cfr. gli articoli 2 e 3 del NAALC.
[31] Cfr. l’allegato 1 all’Accordo, intitolato “Principi in materia di lavoro”.
[32] Cfr. la parte 4 e la parte 5 dell’Accordo. Sul sistema di soluzione delle controversie previsto nel NAALC si veda Del Vecchio, A.: International Courts and Tribunals between Globalisation and Localism, Eleven International Publishing, The Hague, 2013, pp. 84-89.
[33] Mentre, nel 1995, vi erano solo tre accordi commerciali con clausole concernenti gli aspetti in materia di lavoro, nel 2016 tali trattati erano ben 77 (v. al riguardo ILO: Handbook on Assessment of Labour Provisions in Trade and Investment Agreements, cit., p. 11). Nel 2019, tale numero è salito a 86 trattati (v. Grasselli, G.; Suda, J.; Thomas, A. L.: Social Clauses in Trade Agreements: Implications and Action Points for the Private Sector in Developing Countries, Graduate Institute of International and Development Studies, Centre for Trade and Economic Integration, Geneva, 20 gennaio 2021, consultabile nel sito https://repository.graduateinstitute.ch/record/298883).
[34] Fino al 2016, ben 136 Stati hanno concluso almeno un accordo commerciale con norme in materia di lavoro (v. ILO: Handbook on Assessment of Labour Provisions in Trade and Investment Agreements, cit., p. 13).
[35] Cfr. ad esempio gli accordi firmati dagli Stati Uniti con la Giordania il 24 ottobre 2000, con il Perù il 12 aprile 2006, con la Repubblica di Corea il 30 giugno 2007.
[36] Disposizioni di questo tipo si trovano, ad esempio, negli accordi conclusi dal Canada, ma anche in quelli dell’UE.
[37] Cfr. ad esempio l’art. 23.3, par. 2, dello USMCA, in virtù del quale le Parti sono tenute ad adottare e mantenere leggi “ governing acceptable conditions of work with respect to minimum wages, hours of work, and occupational safety and health”.
[38] Prima dell’adozione della Dichiarazione OIL del 1998, si è tentato di chiarire quali diritti del lavoratore dovessero essere considerati fondamentali in occasione del Vertice mondiale per lo sviluppo sociale di Copenaghen (6-12 marzo 1995), nell’ambito del quale si è discusso sugli aspetti negativi della globalizzazione economica. In tale contesto, sono stati riconosciuti come diritti fondamentali dei lavoratori: il divieto di lavoro forzato e di lavoro minorile; la libertà di associazione e il diritto di organizzarsi e di contrattazione collettiva; il diritto a un’uguale remunerazione tra uomini e donne per un uguale lavoro; la non discriminazione sul lavoro. Cfr. il par. 54, lett. b), del Programma di azione del Vertice mondiale per lo sviluppo sociale, secondo il quale: « Governments should enhance the quality of work and employment by … (b) Safeguarding and promoting respect for basic workers’ rights, including the prohibition of forced labour and child labour, freedom of association and the right to organize and bargain collectively, equal remuneration for men and women for work of equal value, and non-discrimination in employment, fully implementing the conventions of the International Labour Organization (ILO) in the case of States parties to those conventions, and taking into account the principles embodied in those conventions in the case of those countries that are not States parties to thus achieve truly sustained economic growth and sustainable development».
[39] Cfr. il par. 2 della Dichiarazione.
[40] Cfr. il par. 2 della Dichiarazione.
[41] Al riguardo, le Convenzioni OIL rilevanti sono: la Convenzione sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale (n. 87), del 9 luglio 1948; e la Convenzione sul diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva (n. 98), del 1° luglio 1949.
[42] Al riguardo, le Convenzioni OIL rilevanti sono: la Convenzione sul lavoro forzato e obbligatorio (n. 29), del 28 giugno 1930; e Convenzione sull’abolizione del lavoro forzato (n. 105), del 25 giugno 1957.
[43] Al riguardo, le Convenzioni OIL rilevanti sono: la Convenzione sull’età minima (n. 138), del 26 giugno 1973; e la Convenzione relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile (n. 182), del 17 giugno 1999.
[44] Al riguardo, le Convenzioni OIL rilevanti sono: la Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione fra manodopera maschile e manodopera femminile per un lavoro di valore uguale (n. 100), del 29 giugno 1951; e la Convenzione sulla discriminazione in materia di impego e nelle professioni (n. 111), del 28 giugno 1958.
[45] Il concetto di “lavoro dignitoso” è stato proposto, nel 1999, dall’allora Direttore generale dell’OIL Juan Somavia, che presentò alla Conferenza internazionale del lavoro il Rapporto Decent Work. In tale documento, per la prima volta si è riconosciuto che l’obiettivo primario dell’Organizzazione è garantire che tutti gli uomini e le donne abbiano accesso a un lavoro produttivo, in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana. Il concetto, elaborato da governi, organizzazioni imprenditoriali e sindacati quale strumento per individuare le principali priorità dell’Organizzazione e per modernizzare il suo mandato, si basa sull’idea che il lavoro sia fonte di dignità personale, stabilità familiare, pace nella comunità, democrazia e crescita economica. La Dichiarazione dell’OIL sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta del 2008 ha, poi, introdotto formalmente il concetto di lavoro dignitoso. Tale Dichiarazione rappresenta il più importante atto di riforma dell’OIL dalla Dichiarazione di Filadelfia e lo strumento principale per la promozione di una globalizzazione giusta fondata sul lavoro dignitoso.
[46] Tale Accordo è stato poi firmato il 6 ottobre 2010, applicato in via provvisoria dal 1° luglio 2011 ed entrato in vigore formalmente il 13 dicembre 2015.
[47] I negoziati per la conclusione del Central America Free Trade Agreement (CAFTA) sono iniziati nel gennaio 2003 tra gli Stati Uniti e cinque Stati del Centro America (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua). La Repubblica Dominicana si è unita agli altri contraenti successivamente, con la firma del CAFTA-DR il 5 agosto 2004.
[48] Cfr. ad esempio l’art. 16.3 dell’accordo tra il Marocco e gli Stati Uniti del 15 giugno 2004.
[49] Cfr. il capitolo 23 dell’Accordo.
[50] Cfr. l’allegato 23-A, intitolato “ Worker Representation in Collective Bargaining in Mexico”.
[51] Cfr. l’allegato 31-A, intitolato “ United States-Mexico Facility Specific Rapid Response Labour Mechanism”.
[52] Dal momento che il regime favorevole previsto su base unilaterale e non reciproca era incompatibile con l’art. I del GATT, contenente la clausola della nazione più favorita, le PARTI CONTRAENTI dell’Accordo hanno introdotto una deroga temporanea per dieci anni al trattamento della nazione più favorita. Successivamente, il 28 novembre 1979, al termine del Tokyo Round, è stata adottata la Decision of GATT Contracting Parties on Differential and More Favourable Treatment, Reciprocity and Fuller Participation of Developing Countries, chiamata comunemente « enabling clause» o clausola di abilitazione, che ha reso la deroga all’art. I del GATT a tempo indeterminato, per cui le merci dei Paesi in via di sviluppo possono continuare a beneficiare del trattamento commerciale favorevole. Tale clausola di abilitazione costituisce attualmente, in seno all’OMC, la base giuridica del sistema di preferenze generalizzate anche degli accordi regionali fra i Paesi in via di sviluppo.
[53] Cfr. il regolamento (CEE) n. 1314/71 del Consiglio, che attua un sistema di preferenze generalizzate in favore dei Paesi in via di sviluppo per taluni prodotti dei capitoli 1 — 24 della tariffa doganale comune, del 21 giugno 1971. Il trattamento preferenziale accordato ai Paesi in via di sviluppo è stato applicato dalla Comunità economica europea (CEE) a partire dal 1° luglio 1971.
[54] Si tratta del regime di incentivazione con tariffe ancora più basse per i Paesi che ratificano e attuano 27 convenzioni internazionali specifiche (“convenzioni pertinenti”) relative ai diritti umani e del lavoro, all’ambiente e alla good governance. Cfr. il regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate, del 27 giugno 2005. V. al riguardo Orbie, J; Tortell, L.: “The New GSP+ Beneficiaries: Ticking the Box or Truly Consistent with ILO Findings?”, European Foreign Affairs Review, 2009, pp. 663-681; e Richardson, B.; Harrison, J.; Campling, L.: Labour Rights in Export Processing Zones with a Focus on GSP+ Beneficiary Countries, 9 giugno 2017 ( paper richiesto dalla sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo).
[55] Con il regolamento (UE) n. 978/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate e che abroga il regolamento (CE) n. 732/2008 del Consiglio, del 25 ottobre 2012, in vigore dal 1° gennaio 2014, l’UE si è dotata di un nuovo sistema di preferenze generalizzate per il periodo 2014–2023. Secondo quanto stabilito, l’UE può sospendere temporaneamente le tariffe agevolate in una serie di ipotesi, ad esempio nel caso di violazioni gravi e sistematiche dei principi contenuti nelle “convenzioni pertinenti” (art. 19, par. 1, lett. a).
[56] Si veda su tale argomento Salomone, R.: “Preferenze tariffarie generalizzate e core labour standards”, Lavoro e diritto, 2011, pp. 105-118. Sul ruolo dell’UE nella promozione della dimensione sociale della globalizzazione cfr. anche Orbie, J.; Babarinde, O.: “The Social Dimension of Globalization and EU Development Policy: Promoting Core Labour Standards and Corporate Social Responsibility”, Journal of European Integration, n. 3, 2008, pp. 459-477.
[57] Secondo l’art. 207, par. 1, TFUE: «La politica commerciale comune è fondata su principi uniformi, in particolare per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi, e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, gli investimenti esteri diretti, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione e le misure di protezione commerciale, tra cui quelle da adottarsi nei casi di dumping e di sovvenzioni. La politica commerciale comune è condotta nel quadro dei principi e obiettivi dell’azione esterna dell’Unione».
[58] V. al riguardo Van Den Putte, L.; Bossuyt, F.; Orbie, J.; De Ville, F.: “Social Norms in EU Bilateral Agreements: a Comparative Overview”, CLEER Working Papers, 2013/4, pp. 35-48.
[59] Cfr. l’art. 86 dell’accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Repubblica sudafricana, dall’altro, dell’11 ottobre 1999.
[60] Cfr. l’art. 50 dell’Accordo di Cotonou, firmato il 23 giugno 2000. A seguito dell’estinzione di tale Trattato, un nuovo accordo di partenariato è stato firmato il 15 aprile 2021.
[61] L’accordo di libero scambio tra l’UE e la Repubblica di Corea richiede alle parti di adottare le convenzioni dell’OIL e di proteggere i diritti dei lavoratori internazionalmente riconosciuti, in particolare: la libertà di associazione e il diritto di contrattazione collettiva; l’eliminazione del lavoro forzato od obbligatorio; l’abolizione effettiva del lavoro infantile; e l’eliminazione della discriminazione riguardo all’impiego e professione (cfr. l’art. 13.4(3)).
[62] Cfr. Commissione Europea, Commercio per tutti. Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, ottobre 2015, p. 19 ss.
[63] Sul tema, v. Bartels, L.: “Human Rights and Sustainable Development Obligations in EU Free Trade Agreements”, Legal Issues of Economic Integration, 2013, pp. 297-314; Van den Putte, L.; Orbie, J.: “EU Bilateral Trade Agreements and the Surprising Rise of Labour Provisions”, The International Journal of Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2015, pp. 263-283; Gammage, C.: “Social Norms in EU Free Trade Agreements: Justiciable or Not?”, in Gammage, C.; Novitz, T. (eds.): Sustainable Trade, Investment and Finance: Towards Responsible and Coherent Regulatory Frameworks, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2019, pp. 50-82; Harrison, J.; Barbu, M.; Campling, L.; Richardson, B.; Smith, A.: “Governing Labour Standards through Free Trade Agreements: Limits of the European Union’s Trade and Sustainable Development Chapters”, Journal of Common Market Studies, 2019, pp. 260-277.
[64] Specifici meccanismi di dialogo sono stati istituiti, recentemente, nel contesto dell’accordo di associazione tra l’UE e la Repubblica di Moldova, comprendente la zona di libero scambio globale e approfondito, firmato il 27 giugno 2014. Si tratta del forum congiunto di dialogo con la società civile (art. 377) e della piattaforma della società civile (art. 442, par. 2).
[65] Si distingue dalla generalità degli FTAs dell’UE l’accordo di partenariato economico firmato con i Paesi del Caribbean Forum (CARIFORUM) il 15 ottobre 2008, che sottopone i capi in materia di ambiente (capo 4) e aspetti sociali (capo 5) al meccanismo normale di risoluzione delle controversie, ma esclude l’applicazione di sanzioni commerciali a tal fine. Peraltro, tale Accordo include anche disposizioni in materia di lavoro e ambiente nel capo sugli investimenti, al quale il meccanismo sanzionatorio si applica pienamente.
[66] V. al riguardo Marx, A.; Ebert, F.; Hachez, N.; Wouters, J.: Dispute Settlement in the Trade and Sustainable Development Chapters of EU Trade Agreements, Leuven Centre for Global Governance Studies, Leuven, 2017.
[67] Cfr. ILO: Social Dimensions of Free Trade Agreements, Geneva, 2013 (edizione riveduta nel 2015), pp. 1 e 5. Al di là di tali differenze, vi sono numerosi aspetti in comune negli FTAs europei e in quelli statunitensi, in particolare: viene dato un grande peso alla Dichiarazione OIL del 1998 sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e si tende a identificare gli obblighi in relazione ai core labour standards; si cerca di prevenire un regresso degli standard di tutela dei diritti dei lavoratori finalizzato ad attrarre investimenti stranieri e aumentare le esportazioni; si promuove il coinvolgimento della società civile nella negoziazione e nel monitoraggio delle disposizioni; si prevedono procedure di risoluzione delle controversie che contemplano il dialogo intergovernativo e gruppi di esperti (sebbene i metodi di applicazione differiscano).
[68] Cfr. Commissione europea, Non-paper of the Commission Services Trade and Sustainable Development
(TSD) Chapters in EU Free Trade Agreements (FTAs), 11 luglio 2017, pp. 5-9.
[69] Cfr. Commissione europea, Feedback and Way Forward on Improving the Implementation and Enforcement of Trade and Sustainable Development Chapters in EU Free Trade Agreements, 26 febbraio 2018, p. 2.
[70] Ibidem, p. 2 ss.
[71] V. al riguardo Bronckers, M.; Gruni, G.: “Retooling the Sustainability Standards in EU Free Trade Agreements”, Journal of International Economic Law, 2021, pp. 25-51.
[72] V. ad esempio l’art. 23.3(4) dell’Accordo economico e commerciale globale ( Canada–EU Comprehensive Economic and Trade Agreement - CETA) tra il Canada e l’UE del 30 ottobre 2016; l’art. 16.3(3) dell’accordo tra l’UE e il Giappone del 17 luglio 2018; l’art. 4, par. 4 (capo “Commercio e sviluppo sostenibile”), dell’accordo tra l’UE e il Mercosur (il cui testo “ in principle” è stato concordato il 28 giugno 2019); l’art. 13.4(3) dell’accordo tra l’UE e il Vietnam del 30 giugno 2019; l’art. 12.3(4) dell’accordo tra l’UE e Singapore del 19 ottobre 2019.
[73] Cfr. l’art. 23.3(4) del CETA; l’art. 4 (capitolo “Commercio e sviluppo sostenibile”) dell’accordo “ in principle” tra l’UE e il Mercosur; l’art. 13.4(3) dell’accordo tra l’UE e il Vietnam; l’art. 12.3(4) dell’accordo tra l’UE e Singapore.
[74] Cfr. l’art. 13.4 dell’accordo tra l’UE e la Repubblica di Corea del 2010.
[75] Il 17 dicembre 2018 l’UE ha chiesto consultazioni al governo sudcoreano ai sensi dell’art. 13.14 del accordo di libero scambio; successivamente, il 4 luglio 2019 essa ha domandato l’istituzione del panel di esperti. Ciò è accaduto nonostante il governo sudcoreano avesse annunciato, nel giugno 2019, sia la ratifica di tre delle quattro convenzioni interessate (rifiutandosi di ratificare solo la Convenzione n. 105) sia emendamenti al Trade Union and Labour Relations Adjustment Act (TULRAA - legge sull’adeguamento dei sindacati e dei rapporti di lavoro).
[76] Cfr. il Report of the Panel of Experts Proceeding Constituted Under Article 13.15 of the EU-Korea Free Trade Agreement, 20 gennaio 2021, consultabile nel sito https://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2021/january/tradoc_159358.pdf, paragrafi 277-280.
[77] Il Vietnam ha ratificato la Convenzione OIL n. 98 sulla negoziazione collettiva il 14 giugno 2019. Cfr. al riguardo Commissione europea, Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’attuazione degli accordi commerciali dell’UE 1º gennaio 2019 - 31 dicembre 2019, COM(2020) 705 Final, 12 novembre 2020, p. 32.
[78] Cfr. il Report of the Panel of Experts Proceeding Constituted Under Article 13.15 of the EU-Korea Free Trade Agreement, cit., in particolare i paragrafi 196-197.
[79] Cfr. gli articoli 13.4 e 13.5 dell’accordo tra l’UE e la Repubblica di Corea del 2010; l’art. 269, par. 3, dell’accordo tra l’UE, la Colombia e il Perù del 26 giugno 2012; l’art. 4, par. 7 (capo “Commercio e sviluppo sostenibile”), dell’accordo tra l’UE e il Mercosur “ in principle” del 2019; l’art 13.4(4) dell’accordo tra l’UE e il Vietnam del 2019.
[80] V. ad esempio l’art. 2, par. 1 (capo “Commercio e sviluppo sostenibile”), dell’accordo tra l’UE e il Mercosur.
[81] Cfr. ad esempio l’art. 2, par. 3 (capo “Commercio e sviluppo sostenibile”), dell’accordo tra l’UE e il Mercosur.
[82] Cfr. al riguardo Paiement, P.: “Leveraging Trade Agreements for Labor Law Enforcement: Drawing Lessons from the US-Guatemala CAFTA Dispute”, Georgetown Journal of International Law, 2018, pp. 675-692.
[83] Nell’aprile 2008, AFL-CIO e sei organizzazioni di lavoratori guatemalteche hanno presentato un’istanza pubblica nell’ambito del CAFTA, accusando il governo del Guatemala di violazione degli obblighi in materia di lavoro e di mancata applicazione delle leggi nazionali al riguardo. Successivamente, al termine di un’indagine durata 11 mesi, gli Stati Uniti hanno concluso che il Guatemala non aveva assicurato il rispetto di alcuni obblighi fondamentali, quali la libertà di riunione, il diritto alla contrattazione collettiva, il diritto ad organizzarsi e il diritto ad avere condizioni di lavoro dignitose.
[84] Il Panel ha preso in considerazione, in particolare, l’art. 16.2.1( a), del Capitolo 16 dell’Accordo, secondo cui: « A Party shall not fail to effectively enforce its labor laws, through a sustained or recurring course of action or inaction, in a manner affecting trade between the Parties, after the date of entry into force of this Agreement».
[85] Cfr. il Final Report of the Arbitral Panel Established Pursuant to Chapter Twenty, In the Matter of Guatemala – Issues Relating to the Obligations Under Article 16.2.1(a) of the CAFTA-DR, 14 giugno 2017, consultabile nel sito http://www.sice.oas.org/tpd/usa_cafta/Dispute_Settlement/final_panel_report_guatemala_Art_16_2_1_a_e.pdf, par. 594.
[86] Ibidem, par. 190.
[87] In ogni caso, il Panel non ha trovato prove del fatto che eventuali risparmi sui costi, che avrebbero potuto essere ottenuti dagli esportatori guatemaltechi a seguito delle presunte mancanze nell’applicazione delle norme, fornissero un vantaggio competitivo ( ibidem, par. 455).
[88] Cfr. per esempio l’art 22.3(2) del CETA del 2016, secondo cui “ The Parties affirm that trade should promote sustainable development. Accordingly, each Party shall strive to promote trade and economic flows and practices that contribute to enhancing decent work and environmental protection, including by…”.
[89] Cfr. al riguardo Commissione europea, Feedback and Way Forward on Improving the Implementation and Enforcement of Trade and Sustainable Development Chapters in EU Free Trade Agreements, cit ., p. 3.
[90] V. Prévost, D.; Alexovičová, I.: “Mind the Compliance Gap: Managing Trustworthy Partnerships for Sustainable Development in the European Union’s Free Trade Agreements”, International Journal of Public Law and Policy, 2019, p. 249.
[91] V. al riguardo, ad esempio, quanto affermato nell’art. 17, par. 11 (capo “Commercio e sviluppo sostenibile”), dell’accordo di libero scambio tra l’UE e il Mercosur “ in principle” del 2019.
[92] Cfr. la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese (2020/2129(INL)).
[93] L’Accordo è stato firmato il 21 marzo 2014
[94] Cfr. il Final Report of the Arbitration Panel Established Pursuant to Article 307 of the Association Agreement between Ukraine, of the One Part, and the European Union and its Member States, of the Other Part, Restrictions Applied by Ukraine on Exports of Certain Wood Products to the European Union, 11 dicembre 2020, consultabile nel sito https://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2020/december/tradoc_159181.pdf, par. 241 ss.
[95] Ibidem, paragrafi 250-252.
[96] Cfr. il Report of the Panel of Experts Proceeding Constituted Under Article 13.15 of the EU-Korea Free Trade Agreement, cit., par. 259 ss., il particolare par. 277.
[97] V. al riguardo Abgaryan, S.: “EU-China Comprehensive Agreement on Investment in the Context of Chinese Bilateral Investment Treaty Program with the EU Countries”, Indian Journal of International Law, 2018, pp. 171-203; Yin, W.: “Challenges, Issues in China-EU Investment Agreement and the Implication on China’s Domestic Reform”, Asia Pacific Law Review, 2018, n. 2, pp. 170-202; Lawrence, J.; Van Ho, T.; Yilmaz-Vastardis A.: EU-China Comprehensive Agreement on Investment. A Scoping Study, dicembre 2020; Berger, A.; Manjiao, C.: “The EU-China Comprehensive Agreement on Investment: Stuck Half-way?”, Columbia FDI Perspectives, 8 marzo 2021, n. 299; Gao, H. S.: The EU-China Comprehensive Agreement on Investment: Strategic Opportunity Meets Strategic Autonomy, maggio 2021, consultabile nel sito https://ssrn.com/abstract=3843434 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3843434; Hu, W.: “The EU-China Comprehensive Agreement on Investment. An In-depth Reading”, CEPS Policy Insights, maggio 2021, n. PI2021-07; Sampson, M. D.: “The Downstream Implications of the EU-China Investment Agreement: Lessons from Trade”, Balsillie Papers, 1 marzo 2021, pp. 1-9; Wang, L.; Li, Y.: “The Negotiation of EU–China Comprehensive Agreement on Investment and Its Potential Impact in the Post-Pandemic Era” , Journal of Chinese Economic and Business Studies, n. 18, 2020, pp. 365-372.
[98] V. al riguardo Marín Durán, G.: “Sustainable Development Chapters in EU Free Trade Agreements: Emerging Compliance Issues”, Common Market Law Review, 2020, pp. 1031-1068.
[99] Cfr. l’art. 1 delle sottosezioni 2 e 3.
[100] Cfr. l’art. 2, par. 1, della sottosezione 3.
[101] V. ad esempio l’art. 2, par. 1, della sottosezione 3.
[102] Cfr. l’art. 4, par. 2, della sottosezione 3.
[103] Tuttavia, alcune disposizioni fondamentali in materia di lavoro incluse nel CAI sono meno stringenti rispetto a quelle previste dall’accordo di libero scambio con la Repubblica di Corea.
[104] Cfr. la sottosezione 4.
[105] Cfr. l’art. 5 della sottosezione 4.
[106] Cfr. l’art. 4, par. 6,della sottosezione 4.
[107] Cfr. l’ art. 6 della sottosezione 4.
[108] V. al riguardo Cotula, L.: “EU–China Comprehensive Agreement on Investment: an Appraisal of its Sustainable Development Section”, Business and Human Rights Journal, 2021, p. 365 ss.
[109] Cfr. la risoluzione del Parlamento europeo del 20 maggio 2021 sulle controsanzioni cinesi nei confronti di entità dell’UE, di deputati al Parlamento europeo e di deputati nazionali (2021/2644(RSP)), par. 10.
[110] Cfr. al riguardo Granger, C.; Siroën, J. - M.: La clause sociale dans les traités commerciaux, in Daugareilh, I. (sous la dir. de), Mondialisation, travail, et droits fondamentaux, cit., pp. 181-212.