Los Prisenti de Gibellina y The Encounter de Adrian Paci. Fiestas religiosas y artes contemporáneas en el espacio público en Sicilia, una línea de investigación internacional
The Prisenti of Gibellina and The Encounter of Adrian Paci. Religious festivals and contemporary art in the public space in Sicily. An International perspective
Cristina Costanzo
Universtà degli Studi di Palermo. Italia
ORCID: 0000-0002-3740-3618
cristina.costanzo@unipa.it
Resumen:
La contribución investiga la relación entre las artes contemporáneas y las fiestas religiosas en Sicilia. De particular interés los Prisenti de Gibellina cuya tradición, que cayó en desuso tras el terremoto de Belice en 1968, fue recuperada por artistas capaces de conciliar las exigencias de las vanguardias con la vocación de recuperar la memoria. Las tradiciones como fundamento de la identidad sugiere un paralelo con El encuentro, una reinterpretación del rito de la Madonna vasa vasa de Módica llevada a cabo por Adrian Paci. Surge así una línea de investigación internacional que utiliza múltiples códigos lingüísticos transversales unidos por la atención al espacio público como catalizador de las relaciones comunitarias y oportunidad de reflexión sin precedentes sobre el rito colectivo.
Palabras clave:
Arte contemporáneo; Espacio publico; Comunidad; Fiestas religiosas; Procesiones.
Abstract:
This article explores the relationship between contemporary arts and religious festivals in Sicily. The “Prisenti” were ancient clothes traditionally carried in the procession for the Feast of San Rocco in Gibellina. The tradition, abandoned after the 1968 Belice earthquake, was revived in by artists who were able to reconcile avant-garde demands with a commitment to preserving memory. Traditions as an identity foundation suggests a parallel with “The Encounter”, a reinterpretation of the Madonna vasa vasa ritual in Modica by Adrian Paci, following the suspension of Holy Week processions due to the COVID-19 pandemic. These approaches share a common focus on public space as a catalyst for community relationships and an opportunity for an unprecedented reflection on the collective ritual.
Keywords:
Contemporary Art; Public Space; Community; Religious Festivals; Processions.
Fecha de recepción: 30 de diciembre de 2023.
Fecha de aceptación: 6 de febrero de 2024.
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© 2024. Cristinan Costanzo. Este es un artículo de acceso abierto distribuido bajo los términos de la licencia Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0. International License (CC BY-NC-SA 4.0). |
Feste religiose e immagini della Sicilia*1
È stato scritto molto e ancora di più si è riflettuto sulla Sicilia attraverso lo sguardo di artisti che hanno ragionato intorno al valore di quest’isola come motore di un immaginario frastagliato in cui le contraddizioni sono state e sono motivo di grande interesse. Tanto nella scrittura, da Goethe a Maupassant, quanto nel visuale più recente le diverse immagini della Sicilia hanno affascinato numerosi intellettuali e artisti multidisciplinari. È Gesualdo Bufalino a utilizzare la fortunata definizione di “Isola plurale”:
Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle2.
A questa pluralità sembrano aver guardato diversi artisti del nostro tempo, le cui ricerche evidenziano come oggi emergano nella storia e nella cultura siciliana alcuni elementi che ne definiscono un’immagine sempre in divenire ma radicata con forza nella tradizione. Il tema delle processioni, in particolare, si ricollega a quello delle feste religiose, di tradizione antichissima eppure rinnovatesi fino a oggi grazie alla devozione dei fedeli e in virtù di una forma di culto laico diffusasi a più livelli di pubblico e capace così di sviluppare tangenze importanti con le espressioni artistiche del contemporaneo.
La persistenza dell’antico in età contemporanea con esplicito riferimento alla tematica religiosa si manifesta da decenni attraverso opere di grande interesse, tra le quali ci limitiamo a citare la celebre fotografia The Black Supper del 1990, che rilegge con il linguaggio anticonformista di Andres Serrano il motivo iconografico del Cenacolo (1495-1498) di Leonardo da Vinci, e l’altrettanto famosa video installazione di Bill Viola The Greeting del 2015, ispirata alla Visitazione (1528-1530) di Pontormo. Valgano questi due esempi a ribadire l’attualità nelle arti contemporanee di un’inedita attenzione verso le molteplici implicazioni delle tematiche religiose, portatrici di visioni e messaggi di grande impatto sia sul piano individuale sia su quello collettivo.
Nella pluralità siciliana l’immagine fotografica ha giocato un ruolo importante nella costruzione di un’idea dell’isola legata, appunto, alla tradizione religiosa e alle processioni cui, per la loro specificità antropologica, hanno guardato fotografi di grande talento. È celebre il libro fotografico Feste religiose in Sicilia del 1964 di Ferdinando Scianna e Leonardo Sciascia, binomio emblematico di un immaginario conteso tra immagine e parola e destinato a imporsi con successo3. Da citare pure Enzo Sellerio, che non fu solo un importante editore con la moglie Elvira ma viene anche considerato uno dei maestri della fotografia neorealista; oltre alle fotografie in bianco e nero confluite nel suo Inventario siciliano del 1977 ricordiamo almeno Processione di Alcamo del 1953 e Madonna portata a spalle per la processione del Venerdì Santo a Belmonte Mezzagno del 19844. E, ancora, i Misteri di Trapani, la Pasqua di Modica, il Venerdì Santo di Enna, la “Sciuta” di Palazzolo Acreide sono protagonisti delle fotografie di Giuseppe Leone, anch’egli da annoverare tra gli autori vicini ai già menzionati Sciascia e Bufalino ma anche a Vincenzo Consolo5. Impossibile non citare Letizia Battaglia, di cui si segnala nella vasta produzione attualmente al centro di una grande attenzione sul fronte espositivo, La conta dopo la Processione dei Misteri. Gli uomini contano i soldi delle offerte. Trapani, 19926. La fotografa coglie un momento immediatamente successivo alla processione e apre così la nostra indagine a quanto resta sottotraccia rispetto alla festa religiosa spingendoci a osservare le dinamiche soggiacenti alle processioni stesse attraverso modi e forme di una ritualità condivisa che si basa sull’incontro tra artista e comunità, centrale nelle opere in esame.
Date queste premesse, si configura uno scenario visivo ben strutturato, in cui compaiono da un lato il tema della devozione e dall’altro quello della condivisione tanto di un rito quanto di uno spazio aperto e collettivo, come la piazza e la strada, centrali nelle pratiche artistiche dagli anni Ottanta del secolo scorso a oggi. Si rivela particolarmente interessante quindi interrogarsi sulle indagini visuali più recenti, condotte in Sicilia da autori che hanno posto l’accento sulla condivisione di uno spazio sia fisico sia concettuale nella prospettiva di una rinnovata ritualità contemporanea. È utile osservare infatti come i segni di una religiosità arcaica siano giunti sino a noi attraverso riti tramandatisi nella storia dell’umanità anche negli ultimi quarant’anni grazie a ricerche che hanno declinato questo tema con particolare attenzione per i processi partecipativi e collaborativi, centrali nella relazione con il fruitore dell’opera.
Mentre restano ai margini di questa ricognizione tutti quegli autori che, sebbene importanti per i riferimenti al rito in seno alla performance, non hanno agito nello spazio pubblico, come postilla, questa volta a colori, a un discorso che vuole indagare gli esiti di un processo condiviso con il pubblico in tema di processioni è opportuno menzionare almeno le opere che, pur non agendo nello spazio urbano in senso performativo, pongono al centro della loro riflessione il rito collettivo.
La ricerca poliedrica di Francesco Lauretta, autore originario di Ispica, pur non essendo facilmente riconducibile a una corrente, si è spesso intrecciata per ragioni autobiografiche e non solo con la rappresentazione di numerose processioni e di diversi soggetti folcloristici e popolari7. La sua prima processione è Idola (Figura 1) del 1998, tela monumentale in cui sono ben riconoscibili la processione del Giovedì Santo e la folla intorno al fercolo, che ne segna l’approdo alla pittura dopo l’esordio nel segno delle installazioni di gusto minimalista e poverista. In una più ampia ridiscussione del medium, che si è manifestata con esiti interessanti nelle scelte allestitive delle sue antologiche come Festival al MAC di Lissone, spetta soprattutto alle processioni di Lauretta realizzate entro i primi anni 2000 la funzione di esaltare il rito della festa come momento collettivo per riflettere sul ruolo delle masse – si pensi anche al coinvolgimento del pubblico in occasione di Wherever, festa di quartiere popolare con balli tradizionali svoltasi nel 2008 lungo una strada di Modica – mentre i dipinti successivi, tra cui Processione rossa e Processione blu (2017), si sono concentrati sulla dialettica tra pittura e colore.
Figura 1. Francesco Lauretta, Idola, 1998, olio su tela, 115x210 cm, collezione privata.
Di grande interesse anche il caso di Giovanna Brogna/Sonnino, artista visiva e regista catanese che qui citiamo per le opere legate a Sant’Agata, vergine e martire, patrona della città di Catania, al centro di un culto culminante nella processione che si tiene dal 3 al 5 febbraio, frequentemente immortalata da importanti fotografi poiché si tratta di una tra le feste tradizionali più partecipate al mondo insieme alla Settimana Santa di Siviglia8. Già prima dell’installazione del 2022 Offerings per Sant’Agata, presentata in occasione delle mostre Agata on the road e Agata. Dall’icona cristiana al mito contemporaneo tenutesi presso la Galleria d’Arte Moderna e il Palazzo dell’Università di Catania, Brogna/Sonnino si era interrogata sui significati della famosa processione in relazione al valore dell’offerta, tema costante della sua indagine. Il suo lungometraggio Riprendimi (Perryfarrel) (Figura 2) del 2006, che esamina la relazione tra centro e periferia, propone un parallelismo tra l’icona rock Perry Farrel e la città di Catania sullo sfondo non casuale della Festa di Sant’Agata, la cui narrazione anticonvenzionale, come lo è la regia del film, è affidata a uno dei portatori delle Candelore, elemento chiave nello svolgimento della processione9.
Figura 2. Giovanna Brogna/Sonnino, Riprendimi (Perryfarrel), 2006, still da video.
Nonostante Lauretta e Brogna/Sonnino non si dedichino esplicitamente a un processo partecipato, l’attenzione alla ritualità della Sicilia centro-orientale costituisce un segmento importante della loro produzione e offre importanti spunti di riflessione anche alla nostra indagine. A proposito di rito collettivo e spazio pubblico, seppur legati alla sola dimensione pagana del rituale senza rimandi alle feste religiose, meritano infine una breve digressione i progetti partecipativi di Marinella Senatore e, in particolare, Palermo Procession, evento corale promosso nel 2018 nell’ambito della Biennale itinerante Manifesta, che ha fatto incontrare danza e parata nel campo urbano avvalendosi della forma tradizionale dello stendardo come mezzo di comunicazione della società contemporanea10.
Questa disamina si concentra sulla scelta artistica di intervenire nello spazio pubblico della festa religiosa affidata a un articolato percorso processionale, la Festa di San Rocco a Gibellina per i Prisenti realizzati da diversi autori di caratura internazionale e la Pasqua a Modica per Adrian Paci, da cui emerge la cura prestata alla relazione tra l’opera e il contesto. È proprio a proposito della Settimana Santa in Sicilia che Ignazio Buttitta evidenzia la stretta correlazione tra ambiente, tempo e società nei rituali festivi e pone in luce il legame cruciale tra riti festivi e comunità:
Oltre a rifondare il tempo, a far trionfare la vita sulla morte sempre incombente, la festa rifonda la comunità e ne elimina i rischi di disaggregazione, riaffermando quella necessaria persistenza della struttura dell’universo sociale nel quale e attraverso il quale ogni comunità si riconosce e si identifica. Ma i riti festivi detengono altre “straordinarie” funzioni. Essi, infatti, continuano nonostante tutto (le trasformazioni socio-economiche) e al di là di tutto (i diversi significati che possono assumere alcuni tratti festivi) a garantire all’individuo la soluzione degli stati di crisi esistenziale, a rispondere alle inquietudini, ai dilemmi fondamentali dell’esistere poiché il rituale religioso ha a che fare con richieste sempre presenti e pressanti intorno alla morte, la malattia, la riproduzione, l’economia; infine, intorno al significato stesso della vita11.
San Rocco e i Prisenti di Gibellina tra segno e memoria
Costituiscono un caso di grande interesse i Prisenti (o Presenti ovvero “ringraziamento”), i drappi processionali frutto della religiosità popolare e della cultura contadina realizzati per la Festa di San Rocco, Patrono di Gibellina, che si tiene il 16 agosto. Le origini di questi drappi ricamati risalgono al XVI secolo e alla Festa del Santissimo Crocifisso, la cosiddetta “Festa ranni” (Festa grande) ma secondo Francesca Corrao sono riconducibili alla tradizione islamica che prevedeva che le tombe dei suoi custodi fossero ricoperte da un drappo verde12. Le fonti riportano che fu il ritrovamento di un Crocifisso nell’attuale contrada Rampinzeri a spingere alcuni contadini di Gibellina e Santa Ninfa a edificare la chiesa di “lu Signuri” e ad avviare, con cadenza triennale, i festeggiamenti nel quartiere di Santa Caterina e l’usanza di «una processione del Crocifisso seguito dai “borgesi” a dorso di muli bardati a festa con paramenti di seta caricati di frumento, mentre portano in processione un drappo di velluto di seta da donare al Crocifisso in segno di ringraziamento13». La festa fu organizzata la prima domenica di maggio dal ceto dei contadini (burgisi), fino al XVIII secolo, quando, in seguito allo sviluppo economico e demografico di Gibellina, si svolse la prima domenica di maggio nel quartiere di S. Caterina (lu Signuri nicu) mentre la seconda domenica coinvolgeva tutto il paese (lu Signuri ranni). In questa occasione, secondo le fonti, oltre alla creazione di un “palio” legato alle corse dei cavalli fu istituzionalizzato il Prisente, un drappo processionale ricamato in fili di seta di colore verde con piccoli fiori colorati simbolo dell’abbondanza, originariamente portato a dorso di muli.
Secondo Antonino Cusumano nella Festa del Santissimo Crocifisso, che rientrava nella complessità dei riti delle società agrarie tradizionali ed era considerata dalla comunità il più importante appuntamento devozionale, il Prisente si imponeva come fulcro del sistema rituale:
Ricamato con motivi floreali e rifinito con una bordura giallo oro, il drappo era allacciato in una delle due estremità ad un’asta (palieddu), issata da un uomo che cavalcava una mula parata con una sfarzosa gualdrappa e una superba bardatura di pennacchi e sonagliere. […] Attorno al drappo, tenuto per mezzo di nastri e cordoni, si dispiegava un corteo di altri cavalieri che, disposti in duplice fila, marciavano per la via di lu Signuri, vale a dire per un itinerario fisso, articolato in modo da attraversare tutti i quartieri dell’abitato: […] Il percorso era animato dal lancio di confetti e noccioline sulla gente che gremiva i balconi e le strade14.
In virtù della loro rilettura in chiave contemporanea seguita al terremoto che il 15 gennaio 1968 colpì la Valle del Belice, con epicentro a Gibellina, i Prisenti rivestono grande importanza non soltanto per le questioni storiche e documentarie ma anche per la loro connessione con il senso di sradicamento rispetto alla tradizione vissuto dalla comunità e per il legame con il lavoro delle maestranze femminili locali.
Nella fase post-sismica Gibellina si è imposta come caso studio particolarmente interessante sotto il profilo artistico, architettonico, museologico e urbanistico per via della sua ricostruzione, avvenuta 20 km a valle rispetto al centro originario e affidata dal sindaco Ludovico Corrao, avvocato, politico e mecenate, a un gruppo cospicuo di architetti e artisti d’avanguardia come Francesco Venezia, Laura Thermes, Ludovico Quaroni, Luisa Anversa, Pietro Consagra, Nanda Vigo, Fausto Melotti, Mimmo Paladino e altri ancora15. Nonostante l’alto profilo degli interventi, il processo scaturito dalla ricostruzione ha generato un continuo dialogo, per molti versi doloroso e conflittuale, tra futuro e memoria determinando altresì la coesistenza tra una città di fondazione, Gibellina “nuova”, e le macerie del terremoto, i ruderi di Gibellina “vecchia”. Grazie a questa azione condivisa sono state ideate diverse opere d’arte contemporanea destinate allo spazio pubblico della città nuova, che oggi accoglie oltre settanta interventi open air, mentre sulle macerie Alberto Burri ha conservato una traccia della topografia originaria della città vecchia nel Grande Cretto. Questa forma attiva di presenza dell’antico, capace di suggerire il dialogo tra la persistenza della storia, affidata alle aree archeologiche di Segesta e Selinunte, e la sua ferita, riscattata dall’arte contemporanea attraverso un’inedita risemantizzazione delle macerie/rovine accomuna diversi interventi realizzati per Gibellina tra cui i Prisenti16. Ben si attesta sulla realtà siciliana quanto evidenzia Marc Augé sulla relazione tra tempo, rovine e macerie:
Questo gioco di distruzione-costruzione-restituzione alla luce, mira esplicitamente, anche se le finalità ultime possono variare da un’epoca a un’altra o da un regime a all’altro alla creazione di un insieme inedito (perché riunisce monumenti, edifici e resti che fino a quel momento non erano mai stati contemporanei): un insieme “scolpito” nella massa composita della storia e posto in contiguità, come in un’immensa installazione, con alcune parti più recenti della città, o addirittura […] con un frammento spostato della città antica17.
Nell’idea di Gibellina come “fabbrica civica”18 i Prisenti - realizzati tra il 1983 e il 1993 e poi nel 2004 e nel 2015 dagli artisti, così succedutisi, Michele Canzoneri, Pietro Consagra, Alighiero Boetti, Sami Burhan, Carla Accardi, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato, Carlo Ciussi, Isabella Ducrot, Renata Boero, Nja Mahdaoui (1983-1993), Marco Nereo Rotelli (2004) e Gandolfo Gabriele David (2015) – sono un esempio di rinascita culturale in quanto progetto collettivo etico/estetico attraverso cui riannodare i fili della memoria in un intreccio di passato e futuro19. I tredici Prisenti sono assimilati dalla destinazione d’uso comune (la committenza religiosa per la Festa di San Rocco e la funzione processionale), che ne ha determinato l’esito formale affine pur nella varietà espressiva delle singole ricerche, dalle forme astratto-geometriche ai calligrafismi, dai motivi decorativi alla parola scritta, quali lunghi drappi in tessuto ricamato, riconducibili al valore simbolico della tessitura come intreccio trans-culturale. Ciascun autore ha trasferito nella forma del drappo ricamato il proprio personale codice linguistico ricollegandosi, nella maggior parte dei casi, alle proprie opere nei musei della città o nello spazio urbano. In più occasioni, inoltre, i Prisenti hanno sfilato anche simultaneamente come parte attiva di spettacoli teatrali - da San Rocco legge la lista dei miracoli e degli orrori. Processione in versi con accompagnamento di cori, canti e musica, con cui Emilio Isgrò ha avviato la sua nota trilogia Orestea di Gibellina, ai contributi di Enrico Stassi - e insieme al Carro processionale di San Rocco (Figura 3) realizzato da Petro Consagra nel 1983, ulteriore esempio del sodalizio tra arte contemporanea e festa religiosa. Questi ultimi aspetti in particolare evidenziano come nella fase postsismica i Prisenti, a lungo abbandonati, si fossero aperti grazie a Corrao a una lettura pagana della tradizione. Nel 1983 Vincenzo Consolo afferma:
Ho visto di recente a Gibellina esposto, nel nuovo municipio, una preziosa reliquia di quella che si chiama civiltà contadina: un lunghissimo drappo di seta color porpora, ricamato a grappoli d’uva e spighe d’oro, un drappo che si portava in processione durante le feste religiose. Quella seta rossa e quei grappoli e spighe d’oro diventano ora simbolo di rinascita dal sangue e dalla sofferenza. Simbolo di cultura, d’armonia e di pace20.
Figura 3. Il Carro processionale di San Rocco realizzato da Pietro Consagra nel 1983.
Il termine “reliquia” coglie il senso del rudere e il dramma post-sismico e individua un segno di riscatto nel Prisente realizzato dalla Cooperativa promozione della donna in Sicilia. Nel 1981, quando l’usanza sembrava essere caduta nell’oblio, Corrao dunque affida alle donne di Gibellina la lavorazione a mano di un Prisente ed estende questo invito simbolico a diversi artisti.
Dopo Michele Canzoneri, il primo autore invitato a confrontarsi con questa tradizione, è di primo piano nel recupero della Festa di San Rocco Pietro Consagra, uno tra i protagonisti più autorevoli della rinascita di Gibellina e artista assai vicino a Corrao, che nel 1983 oltre a progettare il carro processionale, eseguito da Carlo La Monica, interessante figura di artigiano/artista gibellinese, si cimenta con un arazzo in cui è riconoscibile la cifra stilistica della frontalità.
Del 1985 l’opera in raso di Alighiero Boetti (Figura 4), una delle più felici della collezione del Museo delle Trame Mediterranee, che Fulvio Abbate descrive così:
Ha ritagliato nel raso le icone e le lettere da comporre poi sul «presente» per san Rocco, disponendole nel campo dell’arazzo troncato di rosso e di verde. Al centro, posta in verticale, la Sicilia quasi ruba all’Africa le sembianze. I delfini le tengono compagnia assieme ad una carovana di cammelli e una gazzella che spicca il salto come marchio di chissà quale air line […] L’arazzo, il «presente» anche grazie all’aiuto delle ricamatrici gibellinesi il 15 agosto del 1985 ha attraversato quasi ogni via della città, come stendardo che segna il compimento dell’evento eccezionale, così come in antropologia è definita la festa. Ma io, tra le possibili risonanze esistenziali, penso anche alle bandiere in cima a un edificio ancora fresco di calce. Luogo annuale della devozione religiosa il rito del «presente» in Sicilia è giunto attraverso la cultura dell’Islam, dove un drappo di tela verde copre le tombe dei suoi custodi. Ne ha avuto sentore Alighiero, decidendo così di capovolgere la forma dell’isola? È probable21.
Figura 4. Il Prisente di Alighiero Boetti in processione, Gibellina, 1985.
Numerosi i rimandi che Boetti suggerisce: il dialogo tra la Sicilia e l’Africa ma anche il richiamo all’Islam, la collaborazione con le ricamatrici gibellinesi della Cooperativa Artigianale Promozione della Donna, tema caro all’artista, che già negli anni Settanta, coerentemente con la propria ricerca concettuale, aveva affidato alle donne afgane il ricamo delle sue celeberrime mappe, da inquadrare nella visione del Prisente come espressione “rito” nella formula dello “stendardo”. Dalle fotografie d’archivio della Festa di San Rocco animata emerge con forza quel processo di condivisone tra artista e artigiano che si compie in simbiosi con la collettività e rende il Prisente di Boetti, e non solo, lo strumento con cui l’intera comunità si appropria e si indentifica con la città nuova abitandola con vecchi riti.
Di grande qualità anche le opere dell’artista siriano Sami Burhan, il Prisente in velluto, raso, paillettes del 1986, nelle cui calligrafie islamiche si riconosce quell’interpretazione «corretta ed aperta - nota Achille Bonito Oliva - della storia mediterranea che scorre dalla Spagna alla Francia e attraverso l’Italia e i paesi arabi»22.
Centrale il ruolo di Carla Accardi che presta particolare attenzione alla partecipazione comunitaria non solo per le opere in ceramica realizzate con la cooperativa Nuova Ceramiche Gibellina ma anche con le maestranze femminili gibellinesi con cui nel 1987 realizza il pregevole Prisente in tessuti colorati, ulteriore testimonianza del suo impegno nella salvaguardia della storia e della tradizione attraverso la collaborazione diretta con le artigiane locali23.
E, ancora, sono degni di nota i Prisenti di maestri indiscussi dell’arte contemporanea quali Giuseppe Santomaso e Giulio Turcato, autori rispettivamente nel 1988 di un Prisente eseguito con la tecnica del collage in tessuti misti, e l’anno successivo di un Prisente in tessuti colorati. Nel 1990 anche Carlo Ciussi, già autore nel 1982 dell’intervento urbano Frequenza d’onde, realizza un Prisente con collage in tessuti misti. Di grande intensità pure i lavori di Isabella Ducrot del 1991 che, mediante il collage e la tessitura, linguaggio congeniale all’artista che ha raggiunto esiti altissimi proprio nella riflessione intorno al valore del tessuto, crea una sintonia intima e profonda con la tradizione del ricamo, e di Renata Boero, il cui Prisente del 1992 si caratterizza, invece, per una sorta di mappatura della pianta della città attraverso il tessuto con un rimando concettuale di grande poesia al riscatto dalla catastrofe. Del 1993 il Prisente in tessuti misti su tela dell’artista tunisino Nja Mahdaoui (Figura 5). È degna di nota, lo stesso anno, la presenza della collezione di Prisenti nella sezione Transiti della XLV Biennale d’Arte di Venezia, a cura di Achille Bonito Oliva e intitolata Punti cardinali dell’arte24.
Figura 5. Il Prisente di Nja Mahdaoui in processione, Gibellina, 1993.
Dopo una pausa di alcuni anni, nel 2004, per volontà dell’Amministrazione comunale guidata dal nuovo sindaco Vito Bonanno, la tradizione viene ripresa dal Prisente di Marco Nereo Rotelli, in cui verbale e visuale dialogano, e dopo altri undici anni, il sindaco Salvatore Sutera commissiona l’ultima opera della collezione in ordine di tempo: il Prisente di Gandolfo Gabriele David (realizzato con la partecipazione delle ricamatrici Loredana La Rocca, Vita D’Aloisio, Ninetta Cammareri e della comunità gibellinese), che rende omaggio al Cretto di Burri attraverso l’ideale riempimento delle sue fessure con una colatura d’oro ispirata alla pratica del Kintsugi come metafora di autoguarigione.
In sintonia con gli interventi realizzati a e per Gibellina, orientati verso la ricostruzione e il recupero del passato come risposta alla crisi identitaria collettiva, i Prisenti si impongono come caso di opera comunitaria e corale per via della loro origine antichissima legata all’ambito religioso e votivo e della loro fruizione di natura performativa e partecipata in quanto opere destinate in prima istanza alla processione e soltanto in secondo luogo allo spazio museale. I Prisenti, inoltre, sono un pregevole esempio di rilettura della tradizione in chiave contemporanea in cui la pregnanza fisica del manufatto/opera si coniuga con il valore simbolico di un rito che unisce l’arte e la festa religiosa grazie all’uso processionale, aperto, condiviso e partecipato.
Adrian Paci, la Madonna vasa vasa e U’ncuontru
Tra gli autori che hanno saputo scandagliare con maggiore sensibilità le tematiche sociali anche in riferimento alla sfera del sacro merita un’attenzione speciale Adrian Paci, che emerge nel panorama dell’arte globale come una delle personalità più apprezzate del nostro tempo. Artista albanese di fama internazionale (Scutari, 1969), è stato attivo più volte in Sicilia, dove sono presenti la fotografia Home to go, dell’omonimo ciclo di lavori del 2001, oggi al Museo d’Arte Sacra San Rocco di Trapani in cui Paci stesso assume le sembianze di Cristo durante la salita al calvario, e #Compito1, installazione a mosaico tratta dai codici/segni di Maurizio, ospite della comunità di Sant’Egidio, e realizzata del 2022 per il Radicepura Garden Festival di Giarre in provincia di Catania.
Nel 2018 Paci ha ideato U’ncuontru o The Encounter, ovvero l’incontro, un’opera ispirata alla Pasqua a Modica, in cui fede religiosa e passione popolare si uniscono, di grande importanza ai fini del nostro ragionamento sulla rilettura delle feste religiose nelle arti visive. Come i Prisenti sono esemplari della relazione fertile tra antico e contemporaneo attraverso cui la comunità colpita da una calamità naturale ha potuto riconoscere una nuova formula identitaria di ritualità collettiva così U’ncuontru, realizzato durante la pandemia di COVID-19, riflette sulla condivisione dell’opera in un rito collettivo e privato insieme a partire da una festa religiosa di grande richiamo come quella della Madonna vasa vasa, su cui converge lo sguardo dell’artista sempre attento al sociale.
Nella sua attività Paci, che ha esplorato con successo i linguaggi della fotografia, del video, del disegno, della scultura e della performance, ricevendo unanimi apprezzamenti critici come dimostrano le sue personali presso istituzioni museali prestigiose tra cui il Moderna Museet di Stoccolma e il P.S.1 di New York, si è distinto per una riflessione mai retorica e sempre di grande attualità sulla condizione dell’esule, la ricerca dell’identità e il nomadismo culturale25.
Nel 1992, negli anni della crisi economica albanese, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Tirana, Paci riceve una borsa di studio per il corso di Arte e liturgia presso l’istituto Beato Angelico di Milano, città dove risiede dalla fine degli anni Novanta, e matura un’indagine intorno alla condizione esistenziale, oltre che politica, dei migranti. In particolare, il suo lavoro del 2007 Centro di permanenza temporanea, consistente in una serie di fotografie e un video vincitore nel 2008 della XV Quadriennale di Roma, può essere considerato un manifesto della nostra epoca e una summa della sua ricerca artistica. Celebre l’omonima fotografia in cui si riconosce, sulla pista dell’aeroporto di San Jose in California, una comune rampa di scale per l’imbarco su cui si ammassa un nutrito gruppo di uomini nonostante manchi il velivolo, sintesi efficace di una visione antiretorica del passaggio come momento cruciale sia a livello esistenziale sia collettivo. Sviluppa il medesimo tema il video Centro di permanenza temporanea, dove l’audio e la scelta dell’immagine in movimento amplificano la dimensione del luogo negato e dell’espulsione e a cui l’artista fa corrispondere il tema della migrazione, declinato in chiave universale e come occasione di rilettura del presente, e quelli della mobilità e del dislocamento.
La medesima potenza evocativa ed emozionale si riscontra nel lavoro dal titolo U’ncuontru o The Encounter, realizzato nel 2021 e prodotto da Laveronica arte contemporanea, galleria fondata a Modica da Corrado Gugliotta nel 2007 e distintasi per una programmazione di altissimo profilo apprezzata a livello internazionale grazie a una selezione di artisti orientati all’indagine della condizione umana. L’opera ruota intorno al tema dell’incontro a partire dai festeggiamenti della Pasqua modicana e dal culto della Madonna vasa vasa e prende le mosse da un precedente intervento siciliano di Paci, che nel 2011 a Scicli era stato protagonista di una partecipatissima performance, anch’essa intitolata The Encounter e restituita attraverso un video e una serie di fotografie (Figuras 6, 7 y 8).
Figura 6. Adrian Paci, The Encounter, 2011, composizione fotografica (9 fotografie), dettaglio, courtesy the artist and Kaufmann Repetto Milan / New York.
Figura 7. Adrian Paci, The Encounter, 2011, composizione fotografica (9 fotografie), dettaglio, courtesy the artist and Kaufmann Repetto Milan / New York.
Figura 8. Adrian Paci, The Encounter, 2011, composizione fotografica (9 fotografie), dettaglio, courtesy the artist and Kaufmann Repetto Milan / New York.
Il 21 agosto del 2011, sul sagrato della chiesa barocca di San Bartolomeo a Scicli, Paci invita la comunità a stringergli la mano in un atto simbolico capace di determinare una processione, questa volta laica e sganciata da un fine devozionale, e di imporsi così come un rituale.
Alla chiamata partecipano centinaia di persone che compongono una lunga fila ai margini della piazza mentre al centro è collocata una sedia che viene occupata dall’artista in attesa di quanti hanno preso parte alla celebrazione di un gesto apparentemente semplice ma carico di senso. Dalla ripetizione rituale resa possibile dalla condivisione dell’opera con il pubblico scaturisce una forma attiva di fruizione, favorita dalla scelta del campo urbano come soglia e luogo d’incontro.
A distanza di dieci anni la performance di Modica, divenuta un video, si pone come ideale prosecuzione della fortunata esperienza di Scicli, accolta calorosamente non soltanto dal pubblico ma anche dalla critica. U’ncuontru si tiene a Modica nella giornata di Pasqua del 2021, nelle ore che precedono l’alba del 4 aprile, e torna a riflettere sul tema dell’incontro traendo ispirazione dal rito religioso della Madonna vasa vasa26. Questa festa, che si svolge ogni anno a Modica la domenica di Pasqua ed è seguita da migliaia di persone in processione, si caratterizza per la peculiarità da cui trae il nome e cioè la “vasata”, il bacio. La statua della Madonna, coperta da un velo nero in segno di lutto, e il simulacro di Cristo partono dalla chiesa di Maria di Betlem e vengono condotti in processione tra le strade del centro storico della città alla ricerca l’uno dell’altro. Il momento culminante è proprio il loro incontro in piazza Monumento, dove avviene la “vasata” tra la madre e il figlio risorto. In questo spazio temporale di grande attesa la Vergine, alla vista di Cristo, si spoglia del velo nero in segno di gioia e, grazie agli speciali simulacri che animano il fercolo, allarga le braccia simulando il gesto dell’abbraccio e del bacio al Figlio insieme alla benedizione degli astanti.
Da estimatore della Pasqua modicana, cui partecipa diverse volte, Paci si concentra sulla condizione umana della ricerca e dell’incontro connessi al rito della Madonna vasa vasa, il cui valore legato alla metafora del disvelamento nell’abbandono del lutto e del contatto dell’abbraccio e del bacio è amplificato dalla condizione di precarietà e incertezza dovuta alla pandemia. L’artista arriva così all’ideazione di un incontro notturno, silenzioso e per certi versi clandestino, reso possibile dal supporto della parrocchia di Santa Maria di Betlem e dell’amministrazione comunale della città, cui partecipano alcuni membri dell’associazione dei portatori delle statue nella processione della Madonna vasa vasa, particolarmente legati alla festa ma che per la prima volta hanno avuto l’occasione di vivere il rito in maniera straordinaria, in simbiosi con le statue sì, come di consueto, ma in un’inedita dimensione solitaria e intima, senza folla e senza musica.
Attraverso la reinterpretazione delle formule espressive della tradizione della Madonna vasa vasa Paci, in collaborazione con la comunità di Modica, ha contributo a dare forza a un’identità collettiva messa a dura prova dalla pandemia e dall’impossibilità di celebrare il rito della domenica di Pasqua. Paci fa rivivere il rito in modo inedito, nell’intimità, nel buio e nel silenzio della notte, dove il chiaroscuro a tratti caravaggesco che esalta il velo nero del lutto della madre sembra amplificato dal rumore dei passi dei portatori e del legno delle sculture tenute sulle spalle con fatica. L’artista sceglie la prospettiva della madre alla ricerca del proprio figlio mentre sullo sfondo il centro cittadino desolato, abitualmente gremito per la Santa Pasqua, sembra stringersi intorno alla Madonna in un’atmosfera sospesa, dagli evidenti richiami alla condizione di disagio sociale ed esistenziale generato dalla pandemia. Giunta sul sagrato della Chiesa di San Pietro la Vergine si libera del velo e, come avviene durante la processione modicana della Domenica di Pasqua, la performance raggiunge il proprio apice emotivo nell’esultanza muta dell’abbraccio e del bacio con il figlio creduto morto ma ritrovato, la “vasata” appunto, nella notte rischiarata da poche luci artificiali. Le scritte e i graffiti sul portone che fa da sfondo alla processione silenziosa da un lato evidenziano il cortocircuito di modi e tempi e dall’altro avvalorano l’urgenza di un rito anche nell’oggi. U’ncuontru, sottolinea Laura Raicovich,
speaks to the struggle to remain sensitive when the rawness of reality seems too much. It shifts my focus to the necessity of locating joy and hope in the darkness – it helps us see that survival sometimes happens in the darkest hours. Paci’s film proposes that death may not be an end, and reemergence might not look like what we hope it will be27.
Lo sguardo sulla centralità delle relazioni, cui si ricollega quello dell’identità, è presente in tutta la produzione di Paci, basti pensare ad Apparizione, video del 2001 in cui Tea, la figlia dell’artista, e i parenti della bambina, recitano una filastrocca albanese su due schermi affiancati. Costante anche l’attenzione al connubio tra ritualità e flusso, evidente anche nell’azione performativa del 2017, con il passaggio notturno di un’imbarcazione lungo l’Arno, intitolata Di queste luci si servirà la notte. Con la performance di Modica Paci aggiunge un ulteriore elemento di riflessione e interpreta l’abbandono del velo del lutto come necessità di ricercare ciò che è essenziale in un intreccio tra realtà e finzione, come suggeriscono le azioni e le pose delle statue della Madonna e di Cristo. Il tema del passaggio, fondamentale nella poetica dell’artista, allora non si sovrappone ma si affianca con coerenza e sensibilità a quello della memoria non soltanto religiosa di una terra, la Sicilia, sospesa come molte altre aree geografiche in una condizione che rischia di recidere legami e tradizioni.
Analogamente ai Prisenti, metafora di un gesto artistico espressosi nell’atto di cucire la ferita ed esito di un processo di rinascita attraverso la riscoperta delle proprie radici, U ncontru scandisce un’antica tradizione religiosa in un tempo inedito, dettato dal lockdown ma con funzione e significato nuovi, capace di unire con magia e mistero sfera devozionale e tema identitario. Circa i significati simbolici tradizionali in relazione al rito Silvana Miceli nota, infatti, che quando in «una società per il trasformarsi delle condizioni economico sociali la riconoscibilità di certi valori finisce per offuscarsi, e si perde la coscienza dei significati simbolici utilizzati, i riti tradizionali evidentemente vedono disfarsi la loro struttura. Al di là però dei riti particolari che possono perdersi, il potere della forma rituale rimane incredibilmente costante28.
In conclusione, le considerazioni a margine di questa ricognizione sul legame tra arte contemporanea e processioni/feste religiose in Sicilia, in una linea di ricerca internazionale in virtù della polifonia di voci in campo, convergono, quindi, in una più ampia riflessione sul ruolo dello spazio pubblico come acceleratore di relazioni comunitarie arcaiche prima ancora che cristiane e religiose. Le numerose linee interpretative che non si limitano a coesistere ma spesso si intersecano in nome del comune linguaggio del contemporaneo fungono da richiamo a un insieme di tradizioni che costituiscono il fondamento identitario di una comunità che - sia nel caso dei Prisenti per via del terremoto sia nel caso della sospensione delle processioni modicane a causa della pandemia - era stata privata di un’occasione di incontro collettivo di origine antichissima.
In questa prospettiva l’arte contemporanea non soltanto mantiene in vita i tempi, le forme e le modalità dei rituali antichi ma li arricchisce di tempi, forme e modalità del presente in una chiave inedita che attinge alla condivisione di ciò che è pubblico e per sua stessa natura aperto alla partecipazione attraverso lo strumento della processione e del rito collettivo.
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1. *Desidero ringraziare per il generoso supporto Enzo Fiammetta e Corrado Gugliotta; sentiti ringraziamenti vanno anche agli artisti citati e ai loro archivi, in particolare a Kauffmann Repetto Art Gallery.
2. Bufalino 1996, 19-20.
3. Sciascia 1964.
4. A partire da Borgo di Dio, realizzato sulle orme di Danilo Dolci, si veda almeno Morello 1998.
5. Costituisce una summa interessante della sua ricerca Leone 2015.
6. Si consulti almeno Battaglia y Pisu 2020.
7. Si veda almeno, con bibliografia precedente, Guerisoli 2022.
8. Nella vasta bibliografia relativa al culto di Sant’Agata si consulti almeno Algranti 2008.
9. Si vedano Medica 2017; Gesù 2009; Costanzo 2020.
10. Si rimanda a AA. VV. 2018.
11. Buttitta 2019.
12. Si vedano Ingoglia 1915; Bonifacio 2021. Per una ricognizione della mostra I Prisenti di Gibellina, tenutasi all’Albergo dei Poveri di Palermo tra il 2016 e il 2017, si veda De Luca 2018.
13. Da una conversazione con Giuseppe Pace, membro della Confraternita del Santissimo Crocifisso di Gibellina, che ringrazio.
14. Cusumano 1997, 24. Era particolarmente sentita anche la Processione di Pasqua in occasione della quale insieme al simulacro della Madonna veniva condotta in processione la statua lignea del XVIII secolo del Cristo risorto. Estratta fortemente danneggiata dalle macerie, essa oggi è un elemento fortemente identitario del percorso espositivo del Museo delle Trame Mediterranee della città di fondazione quale metafora della rinascita.
15. Su Gibellina e l’arte contemporanea oltre ai cataloghi del Museo delle Trame Mediterranee e del Museo d’Arte Contemporanea “Ludovico Corrao” si veda, con bibliografia precedente, Costanzo 2022.
16. Per Gibellina e il tema della memoria si vedano Musolino 2007; Costanzo e Limoncelli 2021, 175-191, 193-207.
17. Augé 2004, 103.
18. Degno di nota sull’argomento Bonito Oliva 1992.
19. Non essendo possibile in questa sede fare un esame dettagliato dei singoli Prisenti si segnala che è in corso uno studio di prossima pubblicazione; per gli artisti si rimanda alla bibliografia specifica.
20. Bonifacio 2021, 154.
21. Abbate 1998.
22. Sorgi e Militello 2015, 98.
23. Per questi aspetti si rimanda a Costanzo 2019.
24. I Prisenti vengono accolti nel Padiglione Italia, sospesi al di sopra dei visitatori, nella sala denominata Transiti. Fabbrica Civica, condivisa in nome della comune esperienza del terremoto con la collezione Terrae Motus voluta da Lucio Amelio in seguito al sisma dell’Irpinia del 1980. Oliva 1993.
25. Nell’ampia letteratura critica comprendente i numerosi cataloghi delle sue mostre personali e collettive ci limitiamo a citare Vettese 2006; Engler e Capaliku 2008; Gensini 2018. Si segnalano anche l’intervista del 2011 per I martedì critici, a cura di A. Dambruoso e Marco Tonelli, visionabile al seguente link http://www.youtube.com/watch?v=YKPhb4HSpGA, e il documentario scritto e diretto da Alessandra Galletta per Sky nel 2012.
26. Per la Pasqua in Sicilia si vedano almeno Buttitta, 1978; Guidoni, 1980; Iacono, 1989; Buttitta, 1990; Plumari, 2003; Perricone, 2005; Buttitta, 2006.
27. Si veda Raicovich 2022.
28. Miceli 1972, 154.