Corpi e storia in Bring up the Bodies di Hilary Mantel

Bodies and History in Hilary Mantel’s Bring up the Bodies

Tiziana Ingravallo

Universidad de Foggia

Riassunto:

Il contributo propone una interpretazione del romanzo storico di Hilary Mantel, Bring up the Bodies, con una particolare enfasi sulla rappresentazione del corpo che apre nuove prospettive sulla costruzione storica della soggettività femminile.

Parole chiave:

romanzo storico, ritratto, corpo, soggettività femminile.

Abstract:

This article interprets Hilary Mantel’s historical novel Bring up the Bodies with a special emphasis on body representation that opens up a new perspective on historical construction of female subjectivity.

Key word:

Historical novel, portrait, body, female subjectivity.

Bring up the Bodies, pubblicato nel 2012 e insignito del prestigioso Booker Prize, è il secondo volume di una trilogia di successo che Hilary Mantel dedica al passato tudoriano. La trilogia (di cui si attende l’ultimo capitolo, The Mirror and the Light), spesso identificata come la ‘trilogia di Thomas Cromwell’, ricostruisce i momenti fondativi dell’Inghilterra moderna. Bring up the Bodies, in particolare, riscrive la storia di vita di Anna Bolena, rimodulata, sin dagli inizi del Novecento, innumerevoli volte da romanzi scritti prevalentemente da donne, perché quel personaggio storico, più di altri, si impone come icona femminile dello spirito riformatore. Nel romanzo della Mantel si narra, però, il suo ultimo anno di vita. Gli eventi si riferiscono ai fatti svoltisi tra il 1535 e il 1536. In quel breve arco temporale, che nel romanzo si sviluppa simbolicamente tra la fine di una estate e l’inizio di un’altra, si compie il rovinoso destino della Bolena, dal progressivo accerchiamento politico fino alla spettacolare e inappellabile caduta.

Lo sguardo del Segretario di Stato, Thomas Cromwell, lucido osservatore dell’oscura vita di corte, cattura le ultime sequenze di vita della Bolena. La narrazione scaturisce prevalentemente dal suo pensiero e dal suo sguardo. Cromwell, primo ministro alla corte di Enrico VIII e ombra fedele del sovrano, è il dominus prospettico e politico, poiché gli eventi che si compiono sotto i suoi occhi sono nevralgici per la storia dell’Inghilterra. Dagli scambi dialogici che egli intrattiene con gli altri personaggi, affiorano le numerose storie private e anche quella pubblica, che si rifrange in diverse versioni della Storia. Bring up the Bodies è vero caleidoscopio della vita sociale, culturale, politica del Rinascimento inglese. Con voracità onnicomprensiva la voce narrante giustappone situazione e personaggi nella sincronia di un presente, allo stesso tempo vivido ed immediato.

Lo sguardo ossessivo di Cromwell trasforma le vicende narrate in una rappresentazione figurale. I protagonisti di una vicenda storica arcinota ritornano come trasmigrati nelle pagine di un romanzo storico contemporaneo per essere raccontati come presenze corporee, come personaggi-corpo. La materialità corporea ostentata sin dal titolo, infatti, pervade e ingombra lo spazio narrativo.

La metafora corporea descrive un caso paradigmatico di biopolitica in un momento cruciale per la Corona inglese. Si parte dal corpo secondo l’ideologia monarchica che fonda la legittimazione della corona sulla necessità biologica di un erede maschio.

Enrico di notte rimane sveglio, roso da molti pensieri: Anna Bolena non riesce a dargli un rampollo dopo la nascita di Elisabetta e l’Imperatore Carlo V lo detesta perché ha ripudiato sua zia Caterina d’Aragona per sposare una donna che la gente per strada definisce “a goggle-eyed whore”. Inoltre, su di lui pende una bolla di scomunica per lo scisma religioso che ha portato alla nascita della Chiesa Anglicana e che gli ha consentito di sposare Anna. Ciò ha fatto di lui un nemico tra i sovrani cristiani d’Europa e per tale ragione l’ambasciatore esorta l’Imperatore Carlo V a invadere l’Inghilterra per conquistare quella terra sacrilega in cui il Re ha divorziato e si è nominato Dio con un atto del Parlamento.

Sin dalle primissime pagine l’ossessione procreativa confina Enrico nella materialità biologica ed erotica del suo gigantesco corpo. Il timore per la discendenza dinastica ha, in realtà, caratterizzato tutto il Cinquecento inglese fino al regno della regina Vergine che nel romanzo appare come l’infanta Elisabetta. Basti ricordare i sonetti del canzoniere shakespeariano che si aprono, più che con un invito, con un vero e proprio ammonimento al giovane amico a procreare1.

E dunque, Enrico, mentre i suoi sudditi muoiono di fame, lo troviamo all’inizio della storia, già invaghito di una fanciulla modesta e timida, Jane Seymour, dama di compagnia prima di Caterina, ora di Anna. Alla Bolena, la scaltra regina che non è riuscita a dare un erede maschio al trono d’Inghilterra, vengono ridotti progressivamente peso e autorità. È già dalla parte dei perdenti sin dalle pagine iniziali, non appena Enrico ‘poggia lo sguardo’ su Jane, colpito dal desiderio per lei. Una volta persi l’affetto, l’attenzione e la protezione di Enrico la battaglia è già persa. Tutto il romanzo è dedicato alle strategie per far capitolare Anna, ormai chiusa in un fato che appare prescritto.

Le regine e le donne si avvicendano in un destino storicamente noto e segnato dalla violenza legittima del sovrano secondo una dinamica politica preordinata di ‘protezione’ e successiva ‘messa a morte’. Cromwell ha imparato dalla storia recente che le regine vanno e vengono. Tre vite, infatti, coesistono nel racconto, quelle di Caterina, Anna e Jane. Le situazioni si ripetono. Alla morte di una regina rigettata, succede l’esecuzione di un’altra. Tre donne colte in diverse fasi della vita compongono sincronicamente il racconto di una vita, come nei celebri dipinti rinascimentali raffiguranti le ‘tre età’.

Un principio, infatti, di coesistenza delle anime investe lo statuto estetico e narrativo di questo romanzo storico. Il passato coesiste con il presente, i morti sembrano camminare accanto ai vivi, anche per la repentinità con cui i corpi dei dissidenti e dei traditori vengono trascinati al patibolo. Con un idioma palesemente contemporaneo che permea il pensiero e la parola degli uomini e delle donne del Cinquecento, la voce narrante nel primo capitolo rivendica un “noi”, inclusivo e collettivo, come summa storica del passato, del presente e del futuro. Suggestiva è l’immagine del suolo inglese, custode di una perpetua vitalità delle ossa degli antichi, che tiene in caldo i giorni a venire:

In this part of England our forefathers the giants left their earthwork, their barrows and standing stones. We still have, every Englishman and woman, some drops of giant blood in our veins. […] Think of the great limbs of those dead men, stirring under the soil. War was their nature, and war is always keen to come again. It’s not just the past you think of, as you ride these fields. It’s what’s latent in the soil, what’s breeding; it’s the day to come, the wars unfought, the injuries and deaths that, like seeds, the soil of England is keeping warm. (Mantel 2012: 9)

L’istanza del mutamento che nel romanzo incarna lo spirito di trasformazione delle prime fasi della Riforma inglese, mai declinata in termini religiosi, esplica la sua azione su una temporalità incalzante che di riflesso mostra plasticamente i suoi effetti sui corpi: ‘So,’ the king says to him, ‘how will tomorrow be better than today?’ To the supper table he explains, ‘Master Cromwell cannot sleep unless he is amending something.’‘I will reform the conduct of Your Majesty’s hat. And those clouds, before noon –’ (Mantel, 2012: 18)

I corpi femminili, in particolare, sono sottoposti ad un principio di mutamento, meglio, di metamorfosi. L’incipit del romanzo si apre su un tempo simbolico di un’estate che volge al termine e che ha espletato la sua azione corrosiva in furioso smembramento di membra (“a riot of dismemberment”). È posto in primo piano un grande topos rinascimentale: la violenza distruttiva dell’estate operata dal sole e il carattere effimero della sua durata. L’identificazione, altrettanto rinascimentale, sole-re-Enrico è subito stabilita.

I primi righi creano un immediato effetto di straniamento. Si ha l’impressione di leggere un passo dalle Metamorfosi ovidiane. La diminuzione dall’umano all’animalesco riguarda il corpo femminile. Le figlie di Cromwell, la moglie e le due sorelle, morte da tempo, sembrano trasmutate in volatili, in corpi senza peso che volano sulle correnti d’aria. Sono, invece, falchi a cui Cromwell ha dato il loro nome. È il preludio di una corporeità femminile in divenire che va oltre i confini corporei dei singoli personaggi e delle singole soggettività per creare una rete simbolica di confluenze, contaminazioni e influenze tra diverse vite. Quei falchi, che fanno rivivere nei loro voli anime morte, anticipano la conclusione già nota del romanzo, la morte della donna che ha il falcone come simbolo regale. Archetipica è, dunque, la vita della Bolena. Attraverso la sua parabola si narra tutto ciò che i libri di storia hanno tralasciato di raccontare: “una storia segreta”, per dirla con il titolo dell’altra trilogia storica della Mantel. La storia segreta è la storia delle donne che le vede faticosamente affrancarsi dall’unica versione possibile a cui la storia ufficiale le ha relegate.

Oltre l’inizio, altrettanto simbolica è la conclusione. Un gruppo di sole donne presiede all’ultima rappresentazione del corpo della Bolena, la scena del patibolo. Si fanno vestali degli ultimi momenti di vita della regina. L’accompagnano in corteo con un cerimoniale che sembra nascere spontaneamente e supera antagonismi e conflittualità (come quello tra Anna e Caterina d’Aragona, la concubina e la sposa legittima, o come quello tra la regina e Maria, figlia di Caterina, che rifiuta alla morte della madre l’offerta di maternità di Anna). Richard Cromwell osserva: “It’s the women who keep the poison pot stirred. They don’t like man-stealers. They think Anne should be punished” (Mantel, 2012: 64). Quel corteo, invece, solennità e nuovo significato a quel corpo che è avvizzito fino ad un cumulo di ossa. Senza aiuto, le donne sollevano i resti fradici della regina per deporli nella bara. Intrise del suo sangue, vanno via rigide, a ranghi serrati come i soldati.

Incidentalmente e frettolosamente si riferisce di eventi e accadimenti che fanno la Storia: arrivano dispacci dalle ambasciate, emissari del re vengono inviati nei monasteri per vuotarne le casse, la Polonia è invasa, la peste attanaglia Londra, le persecuzioni religiose si acuiscono, e così via. La narrazione, invece, rallenta sui gesti sofferti e patiti, sui respiri lunghi della sofferenza. E sono i corpi femminili che incarnano una tragicità. Sono luogo di scontro tra soggettività e potere, luogo visibile della costruzione culturale dei generi.

I gesti sofferti femminili sono per lo più soffocati nei rigidi abiti sfarzosi. Sono innumerevoli quelli descritti con una infallibile precisione realistica secondo i dettami della pittura del più celebre ritrattista di corte del Rinascimento europeo al soldo di Enrico VIII, Hans Holbein, anche lui un personaggio del romanzo, noto per la spettacolare decorazione degli abiti, che rivestono e quasi annullano i corpi sotto una profusione di orpelli ornamentali. E dunque, anche nel romanzo, scintillii, colori, stoffe, sbuffi, merletti affastellano i dettagli. Il rapimento ottico enfatizza la seduzione del corpo femminile, e anche la costruzione e la rappresentazione simbolica del femminile, ma più in particolare della sposa ‘legittima’. Enrico, infatti, dopo la morte delle regine, rivuole indietro gli abiti donati.

Come nella narrativa della Austen, la storia di vita delle donne inizia con il corteggiamento. Ed ecco Jane Seymour, agghindata per essere presentata dalla sua famiglia al cospetto del re, è quasi imbarazzata di fronte alla prepotente vitalità fisica del futuro marito corpulento:

He looks at Jane Seymour […]. He knows her well from the court […]; she is a plain young woman with a silvery pallor, a habit of silence, and a trick of looking at men as if they represent an unpleasant surprise. She is wearing pearls, and white brocade embroidered with stiff little sprigs of carnations. […] No wonder she moves with gingerly concern, like a child who’s been told not to spill something on herself. (Mantel, 2012: 13)

Per le eroine della Austen i corteggiamenti avviano un percorso di formazione emotivo ed intellettivo. La prima esperienza in giardino col re fa, invece, maturare in Jane un’amara consapevolezza. Coglie in un momento di solitudine il senso dell’inaspettata attenzione del re e del suo futuro ruolo regale. Questi i segni che legge Cromwell sul corpo di Jane quando comprende che è destinata al compito della riproduzione e che il corteggiamento è un consenso forzato: “Jane hardly seems to breathe. No rise and fall discernibile, of that flat bosom” (Mantel, 2012: 35). Le donne non sanno dissimulare. Anche questo ha notato Cromwell della regina: “Anne is not good at hiding her feelings” (Mantel 2012: 44). Riconosce in quel corpo regale i segni di un’emotività non oppressa o repressa, benché la Bolena sia abile all’occorrenza nei giochi di dissimulazione necessari per sopravvivere alla feroce vita di corte.

E perciò, i corpi delle donne, ma anche i loro abiti, sono il fulcro narrativo filtrato esclusivamente dallo sguardo maschile che tenta di interpretare ciò che sfugge al controllo, ai protocolli, alla supremazia maschile e monarchica. Infatti c’è una zona di inviolabilità del corpo. I loro ventri, osserva una voce maschile, Dio gli avrebbe dovuti creare trasparenti, risparmiando così speranza e paura, perché tutti gli stratagemmi e i provvedimenti di Stato possono essere sconfitti dal corpo di una donna. Scrutare il ventre della Bolena diventa un’ossessione di Stato. La libera scelta della maternità la coglie Cromwell anche osservando le sue giovani nipoti. Le vede sorridenti allentare i lacci dei corpetti per lasciare i pancioni ingrossare. Le forme di opposizione, dunque, si registrano nei piccoli gesti quotidiani.

E, invece, come è il corpo di chi decide dei corpi protetti e dominati? Speculare e opposto è il corpo maschile indagato nella sua peculiarità. Primo fra tutti il corpo del re, la soggettività maschile postasi come universale, ma soprattutto l’uso politico di quel corpo, invidiato dai più potenti monarchi europei. Cromwell, interprete assoluto dei mutamenti corporei dei personaggi, descrive re Enrico attenendosi alla modalità iconografica più in voga del tempo, la ritrattistica, che impone una concezione del ritratto come immagine ufficiale, simbolo di un ruolo e di una posizione sociale. La sua rappresentazione visiva e discorsiva gareggia con il celebre ritratto di Holbein in cui il re dilaga in posizione perfettamente frontale, gonfio e largo al punto da occupare tutta la superficie disponibile:

You cannot see Henry and not be amazed. Each time you see him you are struck afresh by him, as if it were the first time: a massive man, bull-necked, his hair receding, face fleshing out; blue eyes, and a small mouth that is almost coy. His height is six feet three inches, and every inch bespeaks power. His carriage, his person, are magnificent; his rages are terrifying, his vows and curses, his molten tears. […]

The Emperor Charles, when he looks in the glass, would give a province to see the Tudor’s visage instead of his own crooked countenance, his hook nose almost touching his chin. King Francis, a beanpole, would pawn his dauphin to have shoulders like the King of England. Any qualities they have, Henry reflects them back, double the size. (Mantel 2012: 42-43)

Altre volte una provocatoria volontà di demistificazione riduce il corpo del re dall’accezione divina alla sua realtà naturale, sottrae la sovranità alla politica e al tempo stesso rivela nel re e nel suo corpo il luogo di nascita della politica stessa. Così la magnificenza si trasforma in un eccesso grottesco. Come quando Cromwell scruta il volto del re appena rientrato dal giardino. Ha dedicato tutte le sue energie al primo corteggiamento di Lady Jane: “The king is wearing an expression he has seen before, thoug on beast, rather than man. He looks stunned, like a veal calf knocked on the head by the butcher” (Mantel 2012: 34). La prospettiva è materialista. Si parte dal corpo perché la politica inizia dalle passioni e dai desideri che muovono l’individuo.

Sul versante opposto, la lotta per i diritti del corpo. Viene riferito subito, sin dalle prime pagine del romanzo, che non soddisfa Anna il ritratto ufficiale di Holbein. Il suo corpo, infatti, è sempre mutevole e sfuggente, risponde a metamorfosi impreviste. Pure nei piccoli gesti si sottrae ai domini regolativi. Lo sa bene Cromwell. È bene starle dietro. La Bolena è perspicace e svelta. Persino suo padre, Tomaso Bolena, si prende le staffilate della sua lingua tagliente. Prima di diventare tutta spigoli, era una figura sinuosa. Ha sempre usato i suoi occhi corvino con buoni risultati. Un trucco che ha sedotto lo stesso re. Anna Bolena, infatti, è arrivata ai vertici e ha conquistato spazi sempre più ampi di iniziativa personale e politica, ma non può imporsi come vincitrice sugli accadimenti della Storia. Cromwell conosce la fine della sua storia. Il suo occhio veggente trasforma la stasi descrittiva del ritratto dell’affascinante regina, in una feroce profezia. I raffinati colori degli abiti tingono nella sua immaginazione le interiora di un corpo squarciato, ancora vivo:

Anne was wearing, that day, rose pink and dove grey. The colours should have had a fresh maidenly charm; but all he could think of were stretched innards, umbles and tripes, grey-pink intestines looped out of a living body; he had a second batch of recalcitrant friars to be dispatched to Tyburn, to be slit up and gralloched by the hangman. They were traitors and deserved the death, but it is a death exceeding most in cruelty. The pearls around her long neck looked to him like little beads of fat, and as she argued she would reach up and tug them; he kept his eyes on her fingertips, nails flashing like tiny knives. (Mantel, 2012: 45)

L’esortazione, “bring up the bodies”, educare i corpi a nuovi ordini simbolici del femminile, non percettibili, non riconoscibili come identità costruite socialmente, sottolinea la capacità di riuscire a trasformarsi, a potenziare anche nella quotidianità la propria singolarità e diventare, anche per un breve momento, protagonista della storia. Persino la timida Jane stupisce Cromwell. Pensava non avesse nulla da dire. Invece, Jane rompe il silenzio per portare alla luce con un breve racconto la taciuta vita delle donne. Infatti, la visione notturna di sposa che appare in sonno a Cromwell non può essere contenuta nei limiti di una cornice o di uno sguardo perché materia vegetale in divenire che cerca una sua forma e quindi una ridefinizione della soggettività femminile:

You may find a bride in the forest, old Seymour had said. When he closes his eyes she slides behind [the trees], veiled in cobwebs and splashed with dew. Her feet are bare, entwined in roots, her feather hair flies into the branches; her finger, beckoning, is a curled leaf. She points to him, as sleep overtakes him.

At the edge of his inner vision, behind his closed eyes, he senses something in the act of becoming. It will arrive with morning light; something shifting and breathing, its form disguised in a copse or grove. (Mantel 2012: 30)

Le immagini ritratte dall’occhio interiore di Cromwell vanno ben oltre la semplice distinzione tra personaggi storici e personaggi fittizi (Arias 2014: 20). Cromwell, l’eccezionale interprete, sa cogliere nelle trasformazioni dei corpi l’evoluzione della Storia. La figura, allo stesso tempo onirica e atavica, generata nella foresta primigenia è la matrice corporea, atavica e proteiforme, agghindata dei semplici ornamenti della Natura, che attende di prendere forma nel corpo di una consorte regale o di una qualsiasi donna d’Inghilterra. È principio di conservazione e mutazione che fa sì che si possa riscrivere la Storia secondo una genealogia femminile.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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1 Per i sonetti d’apertura del canzoniere shakespeariano si è ormai abbandonata la definizione di ‘sonetti matrimoniali’ preferendo la valenza naturalistica, e insieme dinastica, di ‘sonetti della procreazione’. Centrale, infatti, è la parola ‘heir’, chiave di volta dell’intera sequenza.