Cuestiones Pedagógicas,
1(31), 2022, 21-40,
ISSN
0213-7771
- e-ISSN
2443-9991
https://doi.org/10.12795/10.12795/CP.2022.i31.v1.02
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Género y movilidad humana: mujeres
migrantes en Italia entre desafíos y
oportunidades
Gender and human mobility: migrant women in Italy
between challenges and opportunities
Maria Rita Mancaniello
1
Università degli Studi di Firenze (Italia)
mariarita.mancaniello@unifi.it
https://orcid.org/0000-0002-2446-0357
Zoran Lapov
Università degli Studi di Firenze (Italia)
zoran.lapov@unifi.it, kham_lapov@yahoo.com
https://orcid.org/0000-0002-2423-9484
Antonio Raimondo Di Grigoli
Università degli Studi di Firenze (Italia)
antonioraimondo.digrigoli@unifi.it
https://orcid.org/0000-0002-1293-2281
Resumen: El contenido de este artículo se
basa en los resultados de la investigación
desarrollada en el marco del Proyecto
internacional VIW (Voices of Immigrant
Women), interesado en la movilidad humana
transnacional con particular referencia a
migraciones femeninas y a cuestiones de
género en Europa. Al mismo tiempo que se
abordan algunas de las principales categorías
surgidas de la investigación empírica
realizada con mujeres migrantes, especial
atención se presta al conjunto de desafíos,
oportunidades y posibles soluciones a las que
Abstract: The article content is based on
findings derived from the research carried out
within the international VIW Project (Voices of
Immigrant Women), interested in transnational
human mobility with a focus on female
migrations and gender issues in Europe. While
addressing some main categories that emerged
from the empirical research conducted with
migrant women, special attention is paid to the
set of challenges, opportunities and possible
solutions that migrant women meet during their
migration experience. The article aims to
highlight the important role of networks, on the
1
Il presente articolo è frutto di una scrittura condivisa. In dettaglio, il paragrafo 2 è stato redatto da A.
R. Di Grigoli, il paragrafo 3 da Z. Lapov e il paragrafo 4 da M. R. Mancaniello; il paragrafo metodologico
(1) è stato redatto da Z. Lapov e A. R. Di Grigoli, mentre l’Introduzione e le Conclusioni sono state
elaborate congiuntamente dai tre autori.
Ricevuto: 16/02/2022 | Rivisto: 17/02/2022 | Accettato: 20/05/2022 |
Online first: 8/06/2022 Pubblicato: 30/06/2022
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se encuentran las mujeres migrantes durante
su experiencia migratoria. El artículo quiere
destacar el importante papel de las redes, por
un lado, y de las estrategias de inclusión
social que las mujeres migrantes ponen en
práctica, por otro, en los procesos de
superación de los desafíos enfrentados y de
identificación de las oportunidades que ofrece
el contexto social en el que se encuentran
viviendo en la emigración.
one hand, and of the social inclusion strategies
that migrant women put into practice, on the
other, in the processes of overcoming the
challenges faced and identifying the
opportunities offered by the social context in
which they find themselves living in emigration.
Palabras Clave: género; migraciones;
inclusión social; desafíos; oportunidades;
estrategias de afrontamiento.
Keywords: gender; migrations; social
inclusion; challenges; opportunities; coping
strategies.
Introduzione
In seguito ai processi di rinnovamento che avevano investito il mondo della
ricerca sociale nel secondo dopoguerra, si affermano contributi volti a riformare vari
campi disciplinari sul piano tanto teorico quanto metodologico-operativo. In questo
contesto di rigenerazione, a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, un ruolo di
prim’ordine è stato ricoperto da una prospettiva di genere ampiamento sorretta da un
approccio intersezionale, da cui la lettura dei processi migratori non poteva rimanerne
esclusa. Dunque, si è giunti a conclusione che per una piena e completa
comprensione del fenomeno, alle categorie di origine, età, classe, status sociale,
condizione economica, ecc., occorreva aggiungere la dimensione di genere
(Campani, 2000; Lapov, Campani, 2017): in questi ultimi anni si è assistito a
un’evoluzione nella rappresentazione della donna migrante da soggetto “secondario,
immobile, passivo”, quale “accompagnatrice” del marito e dedita alla cura della sfera
domestica e familiare, a soggetto protagonista con un ruolo attivo, pubblico e
partecipativo della donna, agente di cambiamento nei processi di mobilità umana
inter- e transnazionale e nell’ambito delle concomitanti dinamiche sociali, culturali ed
economiche.
Muovendo da queste premesse, il presente contributo si prefigge l’obiettivo di
esplorare il fenomeno migratorio secondo la duplice ottica analitica del genere e della
mobilità umana. L'approccio intersezionale permette di approfondire le implicazioni
che questi due concetti (intersecati con altri fattori correlati) possano avere sulle
strategie di inclusione sociale adottate dalle donne migranti per poter affrontare le
sfide che si frappongono tra il loro progetto migratorio e una proficua inclusione sociale
nel contesto italiano.
Lo studio si iscrive nell’ambito di una ricerca empirica, condotta in seno al
Progetto europeo VIW, Voices of Immigrant Women, teso a narrare la realtà delle
migrazioni al femminile attraverso le “storie di successo” delle donne migranti nei sei
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Paesi partner: Spagna, Italia, Grecia, Portogallo, Slovenia e Francia. Dopo aver
presentato il quadro metodologico della ricerca, viene riportata l'analisi delle storie di
vita raccolte dal Gruppo di ricerca VIW dell’Università di Firenze (Dipartimento
FORLILPSI), quale il partner italiano del Progetto. All'interno di questo percorso
esplorativo, sono emerse alcune categorie, quali le sfide, le criticità e i meccanismi di
empowerment, incontrate dalle donne migranti durante la loro fase di ambientamento
nel nuovo contesto sociale e che le rendevano maggiormente partecipi del loro
progetto migratorio, talora individuale, talora condiviso con altre persone, spesso
familiari, quindi di natura collettiva. A queste categorie si aggiungono, infine, le
strategie di adattamento sociale messe in atto dalle dirette interessate al fine di
superare le sfide riscontrate lungo i percorsi di inserimento nei Paesi di destinazione.
In conclusione, le situazioni affrontate dalle donne migranti vengono inquadrate in
termini di aspettative, traguardi e opportunità, con le quali le comunità immigrate, con
particolar riferimento alle fasce femminili, si trovano a convivere oggigiorno nella
società italiana.
L’articolo, quale frutto di un recente lavoro sul campo, presenta quindi inediti
risultati emersi dalle narrazioni che le donne immigrate hanno condiviso con noi.
1.L'impianto metodologico VIW
Il presente lavoro riporta i risultati di una ricerca empirica di tipo qualitativo
(LeCompte et al., 1992; Mantovani, 1998) a carattere narrativo-descrittivo (Khan,
2014) con focus sulla dimensione di genere e sul raccontarsi al femminile (Ulivieri,
Biemmi, 2011). In combinazione con la disamina delle fonti bibliografiche, il lavoro sul
campo si è basato sullo studio di caso (Stake, 1995), metodo di indagine che tende a
osservare un fenomeno contemporaneo nel suo contesto più ampio (Yin, 1984); in un
lavoro di ricerca sui singoli soggetti, sorretto dall’intervista strutturata e in profondità,
quale tecnica di rilevazione ivi adottata, il metodo dello studio di caso si presta a
individuare percezioni dei coinvolti sulle esperienze della propria vita (Robles, 2011).
Le informazioni ricavate dalle interviste sono state esaminate attraverso griglie
d’analisi precedentemente elaborate dal capofila del Progetto, l’Università di Pablo de
Olavide di Siviglia (Spagna). All’interno delle griglie sono state individuate tre aree
temporali che contemplavano la fase pre-, durante e post-arrivo in Italia. In ciascuna
area temporale, sono state analizzate le disponibilità economiche, il sostegno
familiare e il sostegno di reti formali e infornali. Sulla base di questi criteri sono emerse
considerazioni sull’avvenuta soddisfazione personale (o meno) delle intervistate.
Nel contesto del Progetto VIW, il concetto di successo”, quale potenziale
qualificatore delle storie raccolte, si spiega con il raggiungimento degli obiettivi, anche
solo in parte, riposti dalle donne migranti nel loro progetto migratorio. Una storia di
successoè cioè una storia riuscita, poiché sfociata in risvolti più appaganti rispetto a
quanto maturato e lasciato nel Paese d’origine: in tal senso, una particolare attenzione
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è stata prestata alla realizzazione professionale, occupazionale e, quindi anche,
personale delle donne coinvolte. Un aspetto importante emerso successivamente
all’analisi delle interviste è stata la diversificazione dell’idea di “successo”, espressa
dalle intervistate rispetto al proprio progetto migratorio.
Nell’ambito del Progetto VIW, larea di indagine coperta dal Gruppo di ricerca
dell’Università di Firenze ha principalmente coinciso con l’area metropolitana di
Firenze: un territorio segnato da una significativa presenza di comunità immigrate, tra
cui quelle di origine romena, cinese, albanese, filippina, peruviana, maghrebina
(Marocco), sud-asiatica (Sri Lanka, Bangladesh, India), subsahariana (Senegal), ecc.
La realtà toscana e soprattutto quella fiorentina presenta interessanti iniziative di
inclusione rivolte alla popolazione immigrata (Comune di Firenze, 2020
https://sociale.comune.fi.it/system/files/2021-02/report_migranti2020_11feb_0.pdf) e nutrite
esperienze di autoorganizzazione e rappresentatività dei collettivi costituiti da
immigrati e in particolare da donne immigrate (reti, associazioni culturali,
coinvolgimento istituzionale, ecc.): sono evidenze che ripropongono, in positivo,
l’impatto che possono generare le forme di integrazione promosse a livello locale
(Caponio, Colombo, 2005).
Con lo scopo di esaminare il fenomeno migratorio al femminile, il Gruppo di
ricerca dell’Università di Firenze ha condotto nel periodo tra febbraio e giugno del
2021 12 interviste con donne oriunde di 11 Paesi, quali: Albania (2), Bangladesh,
Bolivia, India, Nigeria, Polonia, Romania, Senegal, Somalia, Sri Lanka e Tunisia (v.
Tabella 1).
Tabella 1
Provenienza
Età
In Italia dal
Lavoro svolto in Italia
Lavoro svolto nel Paese d’origine
1. Albania
47
2001
Parrucchiera (attività in proprio)
Parrucchiera
2. Albania
30
2017
Dentista/odontoiatra
Dentista/odontoiatra
3. Bangladesh
27
2003
Laureata in Lingue (Università di
Firenze); lavoro attuale: mediatrice
linguistico-culturale
/
4. Bolivia
40
2002
Panificio (attività in proprio)
Vari
5. India
41
2008
Rosticceria & caffetteria (attività in
proprio col marito)
Laureata in Inglese e informatica
6. Nigeria
45
2005
Laureata in Scienze della
formazione (Università di Firenze);
lavoro attuale: assistente alla
persona (per anziani) e mediatrice
linguistico-culturale
Collettrice di plastica (netturbina)
7. Polonia
49
2004
Assistente familiare (domestica) agli
anziani; ha inoltre studiato per
diventare assistente sanitaria
Laureata in Giurisprudenza; ha
iniziato a lavorare in un ufficio
8. Romania
49
2000
Guida turistica
Diplomata, indirizzo Architettura;
lavoro: designer c/o segretaria di
redazione presso una rete
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televisiva; assistente in una
falegnameria
9. Senegal
36
2016
Progetto UE “Invest in Senegal”
(cooperazione con Senegal)
Qualifica in Studi bancari e
finanza
10. Somalia
36
2007
Operatrice sociale, mediatrice e
attivista (settore: richiedenti asilo e
rifugiati)
/
11. Sri Lanka
39
2014
Ripetizioni e lezioni private, lezioni di
inglese ai bambini presso
un'associazione, programmi di
doposcuola, mediazione linguistico-
culturale
Insegnante di inglese
12. Tunisia
44
1998
Arrivata per intraprendere un
dottorato di ricerca in Informatica;
lavoro attuale: docente universitaria
/
NOTA: Dati rilevati al momento dell’intervista (primavera 2021)
La selezione delle interlocutrici è avvenuta sulla base di contatti avuti da reti
amicali e dal mondo dell’associazionismo (fonti primarie). Le donne coinvolte erano
appartenenti alle comunità immigrate originarie di differenti aree geografiche e tra le
più rappresentate in Italia sia a livello locale che nazionale. Inoltre, l’obiettivo era
quello di tracciare un quadro della recente situazione migratoria al femminile: è per
questo motivo che un altro criterio selettivo delle donne da intervistare riguardava il
periodo del loro soggiorno in Italia che non doveva essere superiore a venti anni.
Da questa mappatura delle storie di vita ricostruite insieme alle protagoniste e
dalla successiva analisi dei dati emersi dalle narrazioni si è delineato un quadro
diversificato dei vissuti maturati lungo il loro percorso migratorio: e non soltanto per la
provenienza geografica delle intervistate, bensì per le differenze legate alla loro età,
al loro stato civile, al loro retroterra sociale, culturale, professionale ed economico,
sommate alle attitudini individuali, al viaggio, a esperienze di accoglienza e
inserimento, sino ai livelli di soddisfazione sul piano personale e/o professionale in
emigrazione sono stati questi gli elementi che avrebbero dovuto determinare il
raggiungimento, o meno, di storie di successo” delle donne immigrate coinvolte nella
ricerca.
2.Le donne migranti si raccontano: quali sfide nel contesto italiano?
Negli ultimi cinquant’anni la femminilizzazione dei processi migratori registra
un costante aumento: ciononostante, il fenomeno continua a non ricevere adeguata
attenzione. Le migrazioni femminili sono “possenti, ma silenziose” (UNFPA, 2007),
vale a dire che le donne migrano quanto gli uomini, ma la mancanza di una prospettiva
di genere non permette di riconoscere le specificità del fenomeno e di maturare la
consapevolezza che, oltre alle affinità che accomunano esperienze di migrazione al
femminile e quelle al maschile, sussistono caratteristiche legate a dei bisogni specifici
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dell’essere donna migrante, spesso accostabili a certe difficoltà che riguardano
esclusivamente la porzione femminile dei flussi migratori.
Assumere un’ottica di genere in uno studio sulle migrazioni internazionali
significa anzitutto saper individuare e leggere all’interno del fenomeno i fattori di spinta
e attrazione nella scelta di intraprendere un percorso migratorio in combinazione con
i vigenti stereotipi di genere: si emigra per problemi economici e sociali, oppure per
conflitti armati o instabilità politica, o ancora per la necessità di sfuggire a una società
che non lascia spazio alla loro autonomia poiché donne e, in quanto tali, socialmente
squalificate.
E benché un progetto migratorio possa rappresentare per molte donne una
svolta positiva sul piano delle trasformazioni sociali ed economiche, per altre può
significare l’inizio di una fase di sfruttamento lavorativo a cui si associano forme di
discriminazione di genere (Giampaolo, Ianni, 2020, p. 6). Le donne che decidono di
migrare sono soggette a molteplici meccanismi di esclusione sociale (Campani, 2000,
2007), al cui interno si intersecano non solo i pregiudizi derivanti dalla loro
provenienza geografica, bensì quelli dovuti alla loro classe sociale, alla loro età, al
loro appartenere al genere femminile. In altre parole, il genere accompagna le
migrazioni in tutte le loro dimensioni ed è in questo senso che le norme e le aspettative
di genere, la disparità dei diritti, la violenza contro le donne, le asimmetrie relazionali
e gli squilibri di potere decisionale comportano implicazioni e conseguenze per le
donne, specie se in condizione di migranti (Giampaolo, Ianni, 2020, p. 2).
Pertanto, interrogarsi su quali sfide siano costrette ad affrontare le donne
immigrate mostra l’interesse di riconoscere il ruolo attivo della donna che migra, che
diventa un soggetto attivo e importante non solo per il bilancio economico della propria
famiglia, bensì per la società in cui decide di stabilirsi.
La ricerca realizzata nell’ambito del Progetto VIW ha consentito di rilevare una
serie di sfide che le donne migranti riscontrano sia lungo il loro tragitto migratorio, sia
all’arrivo nel Paese di destinazione. E mentre venivano riaffermate alcune questioni
già ampiamente trattate dalla letteratura sui fenomeni migratori in relazione al genere
(cfr. Campani, 2000, 2007; Lapov, Campani, 2017; Macioti et al., 2006; Macioti et al.,
2007; Vianello, 2009; Brettell, 2016; Mora, Piper, 2021), le sfide identificate dalle
narrazioni hanno aggiunto ulteriori elementi per poter inquadrare l’esperienza delle
intervistate come “donne straniere” e, quindi portatrici di espressioni di una certa
diversità di genere: grazie a questo approccio, sono state raccolte alcune riflessioni
utili a una maggiore comprensione di situazioni che si frappongono tra la condizione
di essere donna immigrata e il raggiungimento di una propria realizzazione
professionale e personale in emigrazione.
Una volta raggiunta la destinazione, per molte/i migranti sopraggiunge la sfida
della barriera linguistica: non conoscere la lingua del posto costituisce una
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discriminante non solo nella ricerca di un lavoro, ma anche nella possibilità di
instaurare significative relazioni sociali; pertanto, l’apprendimento della lingua del
Paese ospitante diventa un requisito essenziale per l’accesso al mercato del lavoro e
per una costruttiva interazione sociale.
Molto più lamentata, nonché trasversale a diverse narrazioni risulta, invece, la
batteria di pratiche, modalità e tempi burocratici che serve per ottenere i documenti di
soggiorno. Si rileva come, persino laddove pianificata prima della partenza, la fase di
preparazione della documentazione necessaria per l’espatrio si rivela lunga e
complessa, nonché aggravata dalle procedure che comportano dei costi per nulla
marginali.
Approdate al problema del riconoscimento dei titoli di studio e professionali, le
donne migranti si scontrano con una questione vitale, soprattutto per chi proviene da
un Paese che non fa parte dell’UE: in questo caso, riprendere gli studi spesso
rappresenta l’unica soluzione praticabile per poter svolgere una professione in linea
con il proprio profilo. Questa scelta diventa difficile giacché implicherebbe, pur con
eventuali aiuti riservati agli studenti stranieri, non poter lavorare a tempo pieno
guadagnare, di conseguenza, un reddito sufficiente per mantenere stesse e
tantomeno, laddove sussistente, contribuire al sostentamento delle proprie famiglie.
Data la mancanza di tempo da dedicare agli studi e l'urgenza di riqualificarsi e trovare
un lavoro, chi decide di farlo opta solitamente per corsi di formazione più brevi, spesso
offerti da enti o associazioni specializzate, nonché finanziati con fondi comunitari (UE).
Alcune intervistate hanno aggiunto che la decisione di iniziare un percorso di studi
universitari può essere, inoltre, ostacolata da delle discriminazioni che, seppur in
maniera velate, vengono riservate alla popolazione immigrata e soprattutto alle
donne.
Oltre a oggettive difficoltà economiche che coinvolgono l’Italia in questo
momento storico (Lapov, Campani, 2017), il mercato del lavoro rimane un sistema
viziato da una serie di stereotipi che cristallizzano le donne migranti in ruoli considerati
per loro “idonei”, relegandone una parte all’interno di certi ambiti lavorativi: si cercano,
non di rado, donne migranti da inserire nelle professioni di cura e assistenza alla
persona, ed è solo un esempio. Tra gli stereotipi che gravitano attorno alla figura della
donna immigrata si distinguono inoltre quelli che la vogliono come poco istruita e con
livelli di letto-scrittura sufficienti per potersi dedicare (solo) a determinati lavori. In
realtà, come riaffermato dalle interviste, molte di loro sono laureate e nel loro Paese
svolgevano professioni corrispondenti al loro profilo professionale. Essere vittime di
un sistema economico stereotipato non risolve il problema del raggiungimento di una
posizione lavorativa adeguata, ovvero della scelta di una professione che sia in linea
con il proprio retroterra formativo.
Trattandosi di una dimensione che può esercitare un impatto specifico, seppur
implicito, sulle loro opportunità di inclusione, un segmento della ricerca VIW è stato
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dedicato alla percezione che le donne migranti hanno del rapporto tra l’appartenenza
di genere e lo status di immigrata. Secondo la recente letteratura interdisciplinare
sull’approccio intersezionale al genere, che si posiziona all’incrocio tra gli studi di
genere, gli studi sulle migrazioni, gli studi etnici e gli studi critici sulla razza (cfr.
Campani, 2000; Asher, 2011; Lynn, Dixson, 2013), le pratiche di discriminazione
legittimano diverse tra le difficoltà che le donne incontrano nel loro percorso
migratorio. In prima istanza, devono fare i conti con tutta una sequela di stereotipi
attribuiti, a seconda del caso, alle loro origini, ai tratti sommatici, all’appartenenza
culturale e religiosa, alla diffidenza nei confronti degli “stranieri” e delle “straniere”
specie se membri di certe comunità o se impegnati/e in certi ambiti lavorativi, ecc.
che possono determinare ricadute sul loro inserimento nella società ospitante.
Sul versante delle discriminazioni nel mercato del lavoro italiano, le intervistate
affermano che le donne non sono maggiormente esposte e colpite da atteggiamenti
razzisti rispetto agli uomini. Solo una donna di origine subsahariana ha riferito di aver
subito atti discriminatori per via del colore della pelle in quasi tutti i posti di lavoro in
cui era assunta. Esperienze di discriminazione possono dipendere anche dalla
provenienza: un’intervistata romena racconta come nei primi anni di soggiorno in
Italia, coincidenti con l’aumento dell’immigrazione romena nel Paese, le era capitato
di subire allusioni sessiste legate allo stereotipo che dipinge le donne dell’Est europeo
come “predatrici sessuali” o “dei mariti”, al tempo stesso che i loro profili professionali
vengono quasi esclusivamente rapportati alla cura degli anziani. Inoltre, la
discriminazione di una persona immigrata, donna o uomo, può essere associata al
tipo di professione e allo status sociale che ricopre nel Paese ospitante. In tal senso
appare significativo l’esempio di un’intervistata che svolge la professione di
odontoiatra e che afferma di essere sempre stata trattata con rispetto e professionalità
sia dai clienti che dai colleghi: per lei esiste una sostanziale differenza tra una donna
immigrata che si trova a lavorare come badante” e una che svolge professioni
riconosciute che godono di un certo prestigio. L’unica volta che ha percepito
atteggiamenti di ostilità da parte dei colleghi maschi per via di una certa
“maschilizzazione” di alcuni settori medico-sanitari è stata durante il suo tirocinio:
secondo l’interlocutrice, tali episodi coinvolgono le donne in quanto tali, al di della
loro provenienza, siano esse immigrate o autoctone.
Un’ultima sfida rispetto ai processi di inclusione delle donne immigrate riguarda
l’offerta di un’adeguata formazione per le future professioniste e professionisti
dell'educazione sulle migrazioni femminili e sulle specificità che il fenomeno comporta.
L’assunzione di un approccio di genere avrebbe il vantaggio di creare figure
professionali in grado di seguire e orientare le donne nei loro percorsi di inserimento,
a partire dall’arrivo in Italia per poi proseguire ad affiancarle nelle fasi successive. Si
tratta, peraltro, di un lavoro di rete con altri attori sociali (enti pubblici e privati, soggetti
individuali e gruppi) operanti sul territorio e oltre. Infine, nell’erogare servizi di supporto
e di accompagnamento verso l'autonomia a favore delle donne immigrate, l’impegno
delle operatrici e degli operatori appositamente formate/i non è sufficiente: per questo,
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una formazione peer-to-peer da parte di donne immigrate inserite verso le
neoarrivate che devono ancora affrontare le sfide dell’inserimento sociale, culturale e
lavorativo rappresenta un traguardo essenziale da potenziare e consolidare.
3.Dalle sfide alle soluzioni
Alla luce delle sfide e delle difficoltà incontrate dalle intervistate nel corso della
loro esperienza migratoria, le narrazioni fornite dipingono un quadro variegato di
strategie messe in pratica al fine di sostenere i propri percorsi di adattamento e
inclusione sociale e di realizzazione personale e professionale nella società italiana.
Stando ai dati di ricerca raccolti, l’attuazione di tali strategie avviene in considerazione
di quelle che sono le condizioni individuali del soggetto che si intersecano con le
sinergie riscontrabili a livello collettivo, ovvero nel contesto della propria famiglia e
delle reti di supporto sociale di tipo amicale, parentale, di comunità, del gruppo dei
pari, dei contatti professionali, o di altra natura (cfr. Lapov, Campani, 2017). Infine,
queste risorse s’incontrano, nei luoghi di insediamento, con le opportunità di
accoglienza e inserimento: in tal senso, la realtà toscana e soprattutto quella fiorentina
offre alla popolazione immigrata diversi servizi di inclusione, tra cui corsi di
alfabetizzazione in italiano L2 (lingua seconda), pratiche di mediazione linguistico-
culturale, forme di assistenza legale, percorsi di orientamento al lavoro, programmi di
formazione professionale (spesso finanziati dai fondi dell’Unione Europea), ecc. A
partire dai bisogni si passa, quindi, alle strategie e alle potenzialità risolutive, capaci
di orientare i processi di inclusione e di consentire alle interessate di raggiungere i
propri obiettivi.
Tra i primi ostacoli riscontrati dalle/i migranti nel loro processo di inclusione
sociale, culturale e professionale vi è senz’altro la conoscenza della lingua: seppur
importante, questo aspetto non è stato segnalato nell’ambito di questa indagine come
uno scoglio insormontabile. Quel che si evince dalle narrazioni è una certa serenità
rispetto all’apprendimento linguistico, dovuta alla disponibilità dei corsi di italiano che
si trovano in offerta territoriale dei servizi per la popolazione immigrata, di solito
impartiti a costo simbolico, spesso anche gratuiti, nonché organizzati su necessità per
sole donne e/o madri di origine immigrata.
Un altro fattore determinante per i processi di inclusione della popolazione
immigrata, parimenti rapportabile alle condizioni sociali iniziali, è quello che riguarda
le opzioni di socialità disponibili sul territorio. In linea con quanto rilevato dalla
rispettiva letteratura (cfr. Campani, 2000; Lapov, Campani, 2017; Macioti et al., 2006;
Vianello, 2009), le storie del nostro campione riaffermano come buona parte delle
donne immigrate socializzano più di frequente con i propri connazionali, donne e
uomini. La congiuntura è soprattutto documentata tra le donne di origine
extraeuropea, le quali, grazie alle reti composte da persone provenienti dalla stessa
area geografica (familiari, membri della comunità, amiche/i, ecc.), ritrovano quel
sostegno funzionale alla loro immissione in nuovi scenari sociali, culturali, linguistici
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ed economici. Questi elementi di affinità sono dovuti anzitutto alla conoscenza della
stessa lingua e a una certa comunanza di specificità culturali. Si tratta, al contempo,
di un adattamento sociale p generale che si mantiene nel tempo, oltre i primi
mesi/anni dell’esperienza migratoria: queste pratiche aggregative all’interno delle
comunità potrebbero essere lette, da un lato, come un tentativo di rifugiarsi in un
contesto che si dimostra rassicurante sul piano socio-relazionale e socio-psicologico
e, dall’altro, come un processo che riduce le possibilità di apertura e interazione con
realtà differenti dalle “proprie”.
Sono risultati quasi del tutto assenti i racconti su esperienze di discriminazione,
soprattuto diretta, sperimentate (eventualmente) dalle interlocutrici in quanto donne e
immigrate. A questa osservazione complessiva sul fenomeno si potrebbe attribuire la
convinzione espressa da alcune intervistate, secondo la quale l’inclusione dipende, sì
dalle circostanze che uno/a immigrato/a trova nel tessuto sociale in cui si inserisce,
ma anche dagli atteggiamenti che il singolo mette in atto ai fini del proprio
ambientamento sociale. Pur accompagnate da accenni su certe criticità rilevabili nelle
società “occidentali” in generale, e in quella italiana in particolare, le considerazioni
sul fenomeno della discriminazione sono, secondo quanto riportato, condite di
sentimenti complessivamente positivi rispetto al clima sociale che si respira nella città
di Firenze e nei dintorni. In diversi casi, la realtà italiana (fiorentina), paragonata a
quanto lasciato alle spalle con particolar riferimento all’insieme di stereotipi e ruoli di
genere, viene interpretata come più evoluta e più aperta nei confronti delle donne:
questa sottolineatura delle differenze nei modelli socioculturali riconoscibili tra il
contesto d’origine e quello europeo/italiano si psintetizzare nell’affermazione che
specifica come “qui c’è una mentalità più aperta, è meglio per le donne.
A prescindere da problematiche riconducibili a frammenti personali di un
vissuto in emigrazione, si evidenziano nelle narrazioni delle nostre interlocutrici due
questioni predominanti, legate alle politiche di gestione amministrativa
dell’immigrazione: una riguarda l’iter di ottenimento dei documenti di soggiorno
(spesso lungo e impegnativo), laddove l’altra si affaccia sull’impossibilità di
riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali conseguite nei
contesti di provenienza. Entrambi questi aspetti incidono sui processi di inclusione
sociale e di partecipazione cittadina delle donne immigrate (e della popolazione
immigrata in generale), laddove la seconda questione contrappone ulteriori sfide alla
realizzazione professionale delle interessate, costringendole non di rado a dover
cambiare rotta accettando forme di inserimento lavorativo differenti rispetto a quanto
prospettato in partenza. Siffatto condizionamento conduce una parte di donne giunte
in Italia con titoli di studio e professionali di livello medio-alto verso un abbassamento
del proprio profilo e una dequalificazione professionale: abbinata all’impossibilità di
riconoscimento professionale, la congiuntura finisce per determinare la comparsa di
ulteriori ostacoli che riducono le possibilità di trovare un’occupazione adeguata al
proprio titolo e alla propria preparazione e di inserirsi proficuamente nel tessuto
sociale circostante.
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Dunque, se nel caso delle donne che emigrano con un bagaglio di formazione
e di competenze professionali di livello medio-basso potrebbe risultare più accettabile
un collocamento nei settori occupazionali altrettanto medio-bassi, che richiedono cioè
profili meno o non qualificati (lavoro domestico, produzione, industria, servizi,
agricoltura, ecc.), tale passaggio diventa alquanto p demotivante per quante si
avventurano nell’esperienza migratoria con un capitale professionale più solido. E
qualora la prima situazione riscontri ulteriori sviluppi, si può parlare di “successo”, di
una storia riuscita, perché sfociata in risvolti più appaganti rispetto a quanto maturato
nel Paese d’origine; nel caso di donne con titoli di studio medio-alti, l’incontro/scontro
con carenza di opportunità occupazionali limita invece notevolmente la probabilità di
incoronare le loro storie di “successo”.
Vediamo, a questo punto, cosa ci offre il campione. Costituendo informazioni
indicative, nonché funzionali a una maggiore comprensione dei dati, si è deciso di
considerare ai fini dell’analisi la provenienza e i settori professionali e occupazionali
delle donne coinvolte nella ricerca.
Due tra le intervistate, una tunisina e un’albanese, hanno raggiunto l’Italia
seguendo canali privilegiati: la protagonista della prima storia è arrivata in Italia per
intraprendere un dottorato di ricerca in Informatica; la seconda, giunta per visitare il
marito stabilitosi a Firenze per motivi di lavoro, era entrata successivamente nel giro
professionale di riferimento, fatto che le aveva permesso di trovare un lavoro nel
proprio settore (odontoiatria). Un terzo caso, definibile come privilegiato, riguarda il
percorso di una giovane originaria del Bangladesh: arrivata all’età di nove anni
seguendo il percorso del ricongiungimento familiare organizzato dal padre, si è
formata in Italia conseguendo una laurea in Lingue presso l’Università degli Studi di
Firenze e lavora attualmente come mediatrice linguistico-culturale in contesti
scolastici e ospedalieri.
Altre sono le storie delle donne che sono state costrette a convertirsi
professionalmente ripensando le proprie aspettative e reinventandosi un nuovo
profilo, talvolta in attesa di ritrovare la propria professione (cfr. Cambi et al., 2003;
Mancaniello, 2016; Redini et al., 2020): in alcuni casi, questa forma di adattamento
ha avuto esiti positivi, in altri meno. Dal percorso di una donna boliviana che, dopo
anni segnati da episodi di instabilità, aveva aperto a Firenze insieme al marito un
panificio dove, oltre a vendere pane e altri prodotti italiani, vorrebbe far conoscere la
cucina boliviana e unire in tal modo le due culture gastronomiche; un’indiana di classe
media, arrivata con un visto per motivi di studio che si è sposata in Italia con un uomo
indiano, insieme al quale aveva aperto una rosticceria; una polacca che, laureata in
giurisprudenza nel Paese d’origine, lavora in Italia nell’ambito di assistenza domestica
agli anziani; un’altra che, da diplomata in Romania in architettura e con esperienze
lavorative come designer, segretaria di redazione presso una rete televisiva, nonché
assistente in una falegnameria, si è riciclata in Italia come guida turistica; una somala
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di famiglia piuttosto agiata, arrivata all’età di 19 anni, quindi senza un passato
professionale, che si è affermata come attivista e operatrice sociale; sino al caso di
una donna senegalese, anch’essa di estrazione sociale benestante, giunta per motivi
di salute, poi rimasta in Italia con il marito arrivato in precedenza, che si è sistemata
nell’ambito dei progetti europei di cooperazione con Senegal. Un’ultima è una storia
“a metà strada” verso una sua realizzazione: si tratta di una donna srilankese, giunta
attraverso il ricongiungimento familiare con il marito, che nel Paese d’origine aveva
lavorato come insegnante di inglese per 15 anni e che vorrebbe riconquistare la sua
professione in Italia ma, tra corsi di italiano, lavoretti vari (ripetizioni e lezioni private,
lezioni di inglese ai bambini presso un'associazione, programmi di doposcuola,
mediazione linguistico-culturale) e l’impossibilità di riconoscimento delle qualificazioni
professionali conseguite in Sri Lanka, la strada si sta facendo lunga.
Tra le storie raccolte, ne sono state selezionate due che potrebbero essere
considerate “di successo”: una prima ritrae una donna albanese, la cui qualifica non
risulta riconoscibile in Italia poiché ottenuta in un Paese non-UE, ma che è riuscita,
dopo 20 anni di ostacoli e lavoretti, a riprendersi grazie a un programma di
formazione professionale dell'Unione Europea il proprio mestiere avviando
un’attività in proprio, ovverossia un salone di parrucchiere a Firenze; la seconda storia
ripercorre le vicende di una donna nigeriana che, partita da difficili condizioni sociali
ed economiche, era arrivata a laurearsi in Scienze della formazione, mentre lavorava
come assistente alla persona presso una signora anziana e come mediatrice
linguistico-culturale. Entrambe si ritengono contente e anche fortunate, poiché
realizzate a livello sia personale che (nel caso della prima) professionale.
Come si evince dalle narrazioni, alcune donne del campione sono state
assimilate dal settore di mediazione linguistico-culturale, il quale non offre
un’occupazione ben retribuita né stabile; altre sono state indotte ad avvalersi di
programmi e progetti europei per poter trovare impiego, seppur di solito con contratti
a termine e quindi precari (cfr. AA.VV., 2010); altre ancora si sono mosse
autonomamente. Alcune non hanno abbandonato le proprie aspirazioni e sono riuscite
a raggiungere il traguardo; altre, continuano a lottare per procurarsi un futuro più
sicuro dal punto di vista professionale, fatto che infine comporterebbe la possibilità di
raggiungere gradi più elevati della loro inclusione e partecipazione sociale.
4.Unicità della propria storia: verso un nuovo orizzonte di senso
Provando ad andare al di delle categorie sociali alle quali si fa riferimento
nella letteratura specialistica, così come molto più semplicemente nel senso comune,
la vera e profonda motivazione per cui una persona decide di partire dalla propria terra
di nascita per viaggiare verso altre realtà è difficile da sondare. Il sogno, il desiderio,
l’emozione dell’avventura, le aspettative, così come le paure, il rischio, il dramma,
sono sintetizzati in freddi indicatori “in cerca di lavoro”, “a causa della guerra”, “per
ricongiungimento familiare”. La storia narrata dalle protagoniste trapela che, dietro alle
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motivazioni categoriali, ci sono mondi vitali ricchi di prospettive e ambizioni di un
proprio sviluppo personale e alla ricerca di un senso della propria esistenza.
Donne e adolescenti che sono partite sapendo di stesse, di quello che
lasciavano o abbandonavano, molto meno di quello che avrebbero vissuto nel loro
domani. L’esperienza che emerge dalle interviste mostra che, per ognuna e ognuno
di noi, le variabili che intervengono sono veramente soggettive e dipendono da fattori
di causalità quanto da fattori di casualità (cfr. Macioti et al., 2007).
Dalle storie delle protagoniste della nostra indagine, la matrice su cui si
sviluppa il proprio “algoritmo” delle opportunità e delle possibilità di veder realizzate
almeno parte delle proprie aspettative e del proprio progetto di vita è l’incontro con
persone e contesti, capaci di accoglierle e sostenerle. Forza volitiva, impegno e
perseveranza, tensione verso la ricerca di uscire dalle situazioni problematiche, sono
caratteristiche ricorrenti nelle espressioni di ognuna delle persone che ci hanno
donato la loro storia, associate alla riconoscenza verso un/una alter che si è preso/a
cura di loro e che ha dato quel contenimento necessario per potersi muovere e
sviluppare in una realtà differente culturalmente, linguisticamente, strutturalmente.
Determinazione, tenacia e ambizione sono caratteristiche che hanno permesso
alla maggior parte delle nostre interlocutrici di poter superare i pregiudizi che spesso
hanno sentito nei loro confronti, primi tra tutti la stereotipizzazione rispetto alle proprie
origini, le difficoltà dell’essere straniere in un Paese a sé stesso straniero, gli ostacoli
burocratici e le limitazioni del riconoscimento dei propri percorsi di formazione e dei
propri titoli scolastici, accademici e professionali.
Nonostante l’Italia non si possa definire sempre accogliente e in grado di
gestire in modo sostenibile i processi di immigrazione, l’esperienza vissuta dalla quasi
totalità delle intervistate non è stata caratterizzata da forme di discriminazione che
abbiano offeso la loro dignità: hanno vissuto problemi legati alle questioni di genere
in senso ampio, così come ad alcune difficoltà sull’uso del velo nel luogo di lavoro in
alcune occasioni per delle donne di religione mussulmana, ma in nessuna delle
narrazioni emerge una sensazione di esclusione o di rifiuto legata alla propria identità
di straniere.
Persino le due persone che hanno vissuto la sofferenza e la drammatica
esperienza della tratta di esseri umani e la violenza dello sfruttamento, hanno trovato
la possibilità di uscire dal dramma e rivivere le sensazioni della rinascita e di ricrearsi
un proprio soggettivo progetto di vita attraverso l’incontro di persone, associazioni e
istituzioni che si sono prese cura della loro esistenza. Anche qui, l’incontro è stato il
trampolino di lancio verso un nuovo orizzonte umano e di senso.
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I principali ostacoli e le difficoltà che sono emerse dalle narrazioni sono dovuti
a quelle che sono le storie sociali di questo tempo in un paese come l’Italia, soprattutto
legate all’inserimento nel mondo del lavoro.
Se il problema della precarietà riguarda molte persone, in plurimi contesti
professionali, senza distinzione di genere, età e origini, uno sguardo sulla situazione
della realtà femminile e specificatamente delle donne immigrate può aiutarci a
comprendere meglio il tempo che stiamo attraversando dal punto di vista del lavoro.
Parlare di femminile nell’immigrazione in Italia significa riferirsi a pdella metà
della popolazione immigrata con regolare permesso di soggiorno presente sul
territorio nazionale. Come ricorrentemente sottolineato da studi e ricerche, così come
da media e organi di informazione, non sono mai state attuate in Italia politiche
specifiche sull’immigrazione femminile, quale fenomeno ormai strutturale e radicato
nella società italiana. Tale disattenzione ad un processo migratorio inarrestabile e
irreversibile, in un periodo di crisi nazionale e internazionale, ricade in modo
estremamente significativo sulle identità straniere a più livelli, sicuramente in modo
evidente sul riconoscimento delle professionalità femminili straniere, per le quali gli
ambiti di occupazione sono precipuamente legate ai servizi alle famiglie. Non facili
occupazioni, per le quali si sentono spesso sottovalutate e con una qualità della vita
che risente in modo profondo di ritmi di lavoro pressanti, faticosi per le relazioni di
cura con anziani non autosufficienti o con deficit che richiedono assistenza continua,
senza la possibilità di una vita sociale e relazionale adeguata. Se poi si aggiunge, per
molte donne, la distanza dalle proprie famiglie e dai figli, per la maggior parte rimasti
nei territori di provenienza, emerge che anche i processi di inclusione risentono di
forme di solitudine o di rapporti solo con i propri connazionali, senza un reale sviluppo
del proprio vissuto sociale. Nelle parole di alcune intervistate si evidenzia proprio
questa mancanza come una delle più sentite criticità del proprio progetto migratorio,
incastrato tra il difficile procedimento per l’ottenimento del permesso di soggiorno e il
riconoscimento dei titoli di studio conseguiti nei Paesi d’origine e una quotidianità che
non riesce a dare spazio alle diverse esigenze del soggetto.
L’attenzione trovata nei servizi destinati alla popolazione immigrata ha
permesso a molte donne di poter trovare uno spazio dove essere accolte e sostenute:
ma non tutte le realtà territoriali sono ben organizzate e non sempre mostrano livelli
di valore in tal senso. Abbiamo ancora necessità di sviluppare sistemi in grado di
orientare, sostenere e dare risposte adeguate alla maggior parte dei bisogni legati alla
propria identità di lavoratrici, così come a quella di donne e di madri e anche della
salute, senza tralasciare il problema di supporti psicologici per tutto il cambiamento
che comporta, in molte situazioni, lo sradicamento culturale.
Sembra quasi semplicistico ribadire come le donne immigrate avrebbero
bisogno di un maggiore riconoscimento sia in termini salariali che di qualificazione
dell’occupazione, almeno con pari diritti degli autoctoni, così come una maggiore
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differenziazione di ruoli nei diversi settori lavorativi. In tali situazioni tutto il processo
di integrazione diventa una difficoltà, a partire dal contatto con le istituzioni e le
pubbliche amministrazioni, così come i contesti scolastici e educativi territoriali che
richiedono forme di partecipazione e di condivisione, che impattano con tradizioni e
modelli culturali profondamente diversi. Situazioni che richiederebbero una grande
formazione alle relazioni da parte di chi accoglie e di rilettura dei propri approcci
culturali in chiave almeno dialogica. Come si può ben comprendere, per potenziare lo
sviluppo in tale direzione è necessario che si abbiano politiche e interventi istituzionali
mirati, così come una chiara informazione su quelle che possono essere le
opportunità e i servizi offerti dal settore finanziario, l’accesso agli strumenti di credito,
forme di garanzia per l’utilizzo corretto e efficace degli strumenti di tutela legale propri
dell’ordinamento giuridico nazionale.
Partendo dalla convinzione che l’identità del soggetto trova costrutto anche
nella scelta lavorativa, è indubbio che il processo di individualizzazione e le nuove
forme di strutturazione dei percorsi di vita sono inscindibilmente connessi con le
trasformazioni che sono avvenute nel mercato del lavoro.
Questo si verifica in un contesto storico dove l’incertezza e la trasformazione
sono ricorrenti in tutti i sistemi di riferimento del soggetto, motivo che comporta che
nessuno sembra più essere in grado di fare programmi a lunga scadenza e tutti
tendono a mantenere sempre aperte possibili alternative, guardando continuamente
a nuovi scenari verso cui indirizzare la propria vita e permanendo in una condizione
di centralità del presente (Laffi, 1999). E proprio in questo senso che Richard Sennet
sottolinea come la vita del lavoratore flessibile sia un puzzle di frammenti, al quale il
soggetto non sempre riesce ad attribuire un senso progettuale (Sennet, 1999).
Nel contesto caratterizzato dal lavoro instabile, il soggetto ha davanti a sé una
realtà sempre in divenire, che gli lascia ampi spazi di libertà, ma che può comportare
un indebolimento della capacità di elaborare strategie e di determinare processi
intenzionali di sviluppo di sé. Se alcuni riescono ad usare l’instabilità come una risorsa
per definire autonomamente il proprio percorso professionale, sapendo gestire il
rischio che deriva dall’incertezza, per altri per i quali è mancata una formazione di
specifiche capacità rimane molto difficile riuscire a combinare le risorse a
disposizione per raggiungere una posizione nel mercato del lavoro sicura e
appagante. Questo comporta che nel soggetto odierno ci sia un potenziale di
adattamento che, se supportato altresì da un processo formativo ben strutturato e
organizzato per accogliere e contenere l’incertezza e la precarietà di vita, possano
fargli ottenere nonostante tutto gradi di benessere e di soddisfazione adeguati alle
richieste del nostro tempo e della nostra realtà (Manghi, 2009).
Nel momento in cui i bisogni individuali divengono la base da cui partire in
quanto riconosciuti come fondamentali per accompagnare un soggetto a vivere,
gestire e padroneggiare la flessibilità e l’incertezza dettata dalla attuale società, e il
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contesto assume il ruolo di variabile centrale, la formazione non pche attrezzarsi
pensando a processi di azione destrutturati, a ipotesi più che progetti, a metodologie,
metodi e strumenti in grado di cambiare al mutare della configurazione della relazione
tra i soggetti protagonisti del processo di formazione, dando una forte centralità
all’autoformazione (Mancaniello, 2012).
Quello a cui oggi la formazione deve guardare e dare risposte in grado di
produrre benessere e sicurezza, è un soggetto che ha subìto una perdita di senso,
disorientato rispetto alle categorie del tempo e dello spazio, frammentato, ma anche
inquieto e ansioso di conoscere quali sono gli aspetti, le dinamiche che si creano nella
propria storia formativa e desideroso di ritrovare le coordinate di un possibile orizzonte
e orientare il cammino alla ricerca del proprio senso. Un approccio pedagogico e
formativo che richiede al soggetto un costante intreccio tra essere formato e essere
formatore di sé stesso, nel quale, attraverso la relazione con il contesto e mediante la
rappresentazione della propria esperienza esistenziale, il soggetto si de-costruisce e
si ri-compone, dando vita ad una dimensione di crescita collettiva, in cui cogliere
anche il senso universale del proprio operare e del proprio essere. Un processo di
autoconsapevolezza e di sviluppo personale per tutti e tutte, così come è stato per le
nostre intervistate, che hanno mostrato di saper essere protagoniste anche nello
svelare e nel seguire il proprio desiderio, imparando a ri-organizzare e ri-definire la
propria esistenza, sulla base di una conoscenza profonda di e della realtà che le
circonda.
Conclusioni
La selezione delle interlocutrici coinvolte nell’attività di ricerca di cui in queste
pagine era congeniale agli obiettivi prefissati nell’ambito del Progetto VIW, uno fra tutti
quello di evidenziare come il progetto migratorio delle donne immigrate non si
esaurisce solamente nel momento in cui decidono di emigrare e nemmeno in quello
in cui toccano la destinazione: si tratta, piuttosto, di un insieme di processi che
pervadono il loro tragitto nella sua totalità, al cui interno le aspirazioni e le aspettative
contemplate in partenza richiamano l’attenzione sul loro evolversi successivamente
all’arrivo fino al presente. In questo viaggio assume un ruolo determinante la
prospettiva di genere giacché influisce inevitabilmente sul conseguimento degli
obiettivi di natura personale, sociale ed economica delle donne che si avventurano
autonomamente o meno, da sole o in compagnia nell’impresa, delineata
quantomeno da incertezza, delle migrazioni internazionali.
Su un tale sfondo è stato possibile osservare un avvicendarsi di prospettive,
implicazioni e risvolti confluiti in un variegato senso di realizzazione personale e
professionale: in alcuni casi, il progetto di vita in emigrazione è stato lineare rispetto
agli obiettivi prestabiliti; in altri casi ha subito una svolta positiva se confrontato con le
aspettative iniziali delle donne immigrate; in altri ancora, questa forma di cambiamento
non si è, invece, verificata. Comunque sia, sono storie di donne che si misurano con
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sfide e opportunità, il cui superamento (delle prime) e investimento (delle seconde)
dovrebbero, nel complesso, condurre a una vita più appagante.
Oltre ai percorsi individuali e alle conquiste personali, è stato possibile
individuare alcuni tratti che attraversano la maggior parte delle narrazioni raccolte. I
connotati che definiscono la fisionomia dell’esperienza migratoria delle donne
immigrate sono grossomodo i seguenti: le macchinose pratiche burocratiche,
finalizzate alla regolarizzazione del proprio status e soggiorno nel Paese di approdo;
l’impossibilità di riconoscimento dei titoli di studio e professionali; la diversità dei lavori,
quindi più di uno, portati talvolta avanti in contemporanea per potersi mantenere;
determinati stereotipi di genere, con particolar riferimento ai preconcetti imputati
specificamente alle donne immigrate.
A fronte di tali circostanze, commiste con le opportunità rinvenibili sul territorio,
le donne immigrate (e non solo) sono indotte a collocarsi, come emerso dalle
interviste, nel settore privato, praticamente senza possibilità di aspirare a un posto nel
settore pubblico: esito che rischia di tradursi non poche volte in forme di isolamento
dettate dai settori occupazionali che si rendono disponibili nei confronti della
popolazione immigrata e, di conseguenza, in vari gradi di instabilità e insicurezza in
termini di inclusione e partecipazione socio-economica.
Risulta, pertanto, inevitabile osservare le criticità di un sistema politico e sociale
che, tuttora, stenta a garantire alle persone immigrate un inserimento sociale e
lavorativo scevro di lunghi e annosi meccanismi burocratici. Questo aspetto è di sicuro
uno di quegli elementi che maggiormente accomunano i vissuti di molte donne
immigrate, comprese le intervistate, da cui è possibile constatare come le politiche
migratorie non offrono loro un adeguato supporto in termini di progettualità a lungo
termine e, quindi, di realizzazione, per non dire “successo” professionale e personale.
A prescindere dalla qualità dei traguardi raggiunti, i processi che portano al loro
conseguimento sono, quindi, tenuti a coniugarsi con una serie di strategie atte a
generare soluzioni. In questo senso, e senza ammettere generalizzazioni, è possibile
affermare come l’insieme di sfide, strategie e soluzioni di inclusione emerso dalle
interviste raffigura una sorta di mappatura delle condizioni che si trova ad affrontare
buona parte di donne immigrate in Italia, nonché in diverse realtà europee.
In ultima analisi, gli esempi riportati dimostrano come le competenze
professionali non bastano: l’esperienza migratoria, a seconda del contesto, postula
un buon senso di resilienza, orientamento e resistenza per tradurre le proprie
competenze sociali, culturali e professionali, nonché aspirazioni e aspettative disposte
su vari piani esistenziali, in originali percorsi capaci di concludersi in occasioni di
realizzazione professionale e personale. Possibile rinvenire forme di costrizione sia
nei luoghi di partenza che in quelli di arrivo che invogliano le interessate ad
abbracciare diverse scelte di vita; ma è, alla fine, il desiderio di un futuro migliore che
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sprona le donne immigrate, soprattutto se arrivate da lontano o fuggite da situazioni
insostenibili, a imboccare diverse vie di “arrangiamento” al fine di raggiungere un certo
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ISSN
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Maria Rita Mancaniello | Zoran Lapov | Antonio Raimondo Di Grigoli
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